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Exit
7 - 17 gennaio 2021
Le recensioni di Anna Violati, coordinatrice del Circolo di Lettura
Exit è una villa di campagna immersa nella natura, con saloni arredati con gusto, con quadri antichi e candelabri. Qui durante l’estate arrivano uno alla volta degli ospiti: Pamela, bella e caustica, femminista, ex-ministro della condizione maschile, la sua amante Clarissa, suonatrice di violino, il finanziere Finn, uomo raffinato e colto, la vedova Tevener, allegra e sensuale, Ottosillabo, macchinista genovese, il poeta Leonard, sempre capace di provocare gli altri. Essi sono stati accolti da due medici: Berset, amante della natura e amministratore della villa, il dottor Eugenius, esteta, amante delle arti, organizzatore di eventi. Con loro c’è anche l’infermiera Matera, specializzata in psicologia, anche brava cuoca che prepara pranzi e cene squisiti. Tutti insieme trascorrono il tempo condividendo banchetti, passeggiate, escursioni, conversazioni e battibecchi e perfino sedute spiritiche. Il tutto è accompagnato da musiche di vario genere: sonate di Beethoven,
bolero di Ravel, canzoni tzigane,
carmina burana, melodie jazz. In questa villa gli ospiti sono venuti a porre fine alla loro vita, con estrema libertà di scelta, a morire in modo originale, in modo confortevole e poco traumatico, perché non hanno trovato o non sono stati capaci di trovare il senso della vita. E’ una commedia grottesca, che si apre con uno sguardo estetico e ammirato verso la bellezza della natura e in cui non c’è disperazione, ma una visione laica del vivere e del morire e il tragico scolorisce con l’ironia. Si ha la sensazione di assistere ad una messinscena, a una recita vera e propria. I personaggi sembrano pirandellianamente in cerca d’autore, l’autore che ognuno di loro vorrebbe essere di sé stesso, della propria vita, delle proprie scelte, della propria libertà e se non di vivere, almeno di morire come ognuno di loro ha deciso. La morte per ciascuno diventa un fine, perché hanno la consapevolezza di avere recitato un ruolo nella loro vita. Quindi la messinscena spettacolare della propria morte è finalmente vivere paradossalmente. La ricerca di sé diventa, dunque, la ricerca di una uscita in grande stile, un’uscita da personaggi per l’appunto e non da persone, quello che forse avevano preteso di fingere per sé. Il testo scritto nel 1984, prima opera di
Alicia Gimenez-Bartlett, è una sorta di manifesto del pensiero dell’autrice, si trovano in nuce già tutti i temi della produzione successiva: l’ironia, il femminismo, il senso del tragico della vita, il diritto di vivere e di morire, il sesso libero, la critica ad ogni forma di conformismo. Contiene molte riflessioni sul senso della vita espresse attraverso i protagonisti. Il sistema dell’amore, considerato di solito motore del mondo, è inefficace perché rende dipendenti dall’altro, soprattutto perché ci si innamora del proprio opposto: l’intelligente del cretino, l’entusiasta dell’indifferente, il sano del malato e così via. La finzione diventa realtà, la realtà è quella che ci immaginiamo giorno per giorno. L’unica vera creatrice è la natura, nelle cui mani non siamo che giocattoli, è inutile darle una forma, non si lascia plasmare. L’infelicità nasce dalla tensione dell’uomo alla ricerca della felicità, trovandola sempre nel passato o nel futuro mai nel presente. Tutto sta nell’accettare che la natura, il mondo, gli uomini non sono poi così male, così come sono. In tutto c’è una parte di bellezza da ritagliare con cura. La bellezza e l’eleganza sono capaci di operare una trasformazione più grande dell’ideologia e della storia. Si può amare la vita e avere un motivo di felicità vivendo in campagna e vedendo crescere i frutti della natura.
Alicia Gimenez-Barlett, Exit, Sellerio, 2019
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