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Cinema in pillole
Rubrica di approfondimento
Bentornati nella nostra rubrica dedicata al cinema! Con la pillola di oggi vogliamo chiudere questa breve parentesi cinematografica in quattro puntate con un film definito da molti “disturbante”, un’opera prima di una mente geniale che porta il nome di Harmony Korine: Gummo. Il regista statunitense, classe 1973, è uno dei più importanti rappresentanti del cinema indipendente americano degli ultimi anni. Lo potremmo definire un regista precoce nel suo successo: a soli 21 anni scrisse la sceneggiatura del film Kids, diretto da Larry Clark nel 1995, che rappresentò il punto di svolta dell’American teenage movie. Se prima di Kids i film per adolescenti erano codificati in rigidi schemi da commedia liceale, da quel momento in poi, grazie alla magnifica sceneggiatura di Korine e alla sapiente regia di Clark, l’interpretazione controculturale dell’adolescenza prese il sopravvento sulla simpatica commedia stereotipata, rigidamente ancorata al genere fino a quel momento. Con Kids veniamo a conoscenza di un nuovo realismo anti-narrativo, crudo e angosciante. Il risultato? Korine divenne quasi subito una celebrità, elogiato da grandi firme del cinema quali Werner Herzog, Gus Van Sant e Spike Jonze. La sua sceneggiatura aveva colpito nel segno, presentandosi come una sorta di campagna di sensibilizzazione sull’AIDS, in un momento in cui la malattia era ancora fortemente stigmatizzata e associata alla vergogna. Questo splendido inizio fece sì che solo due anni dopo, precisamente nel 1997, Korine si cimentasse per la prima volta nei panni di regista con il controverso Gummo.
Cosa c’è di tanto speciale in Gummo da fargli meritare l’ultimo posto della nostra piccola rubrica? Come ha fatto un film senza un contenuto definito, dal carattere grottesco, girato da un regista emergente e che è stato un totale flop al botteghino, a diventare un film culto?
Praticamente senza trama, Gummo presenta una galleria di personaggi molto eccentrici e giovanissimi, che per lo più mostrano i lati oscuri del loro animo. Dei veri e propri outcast, i protagonisti di questo film vivono nella totale emarginazione a Xenia, città dell’Ohio devastata anni prima da un terribile tornado, che fa da sfondo all’intera storia e diventa un pretesto per la deumanizzazione di ragazzi rimasti orfani, abbandonati e imbruttiti dalle difficoltà della vita. Attraverso i loro occhi vediamo veri e propri scorci umani intrisi di disperazione, tanto reali da provocare un certo malessere. Il film fu girato con delle pellicole scadute proprio per enfatizzare il disagio dei ragazzi e la miseria delle loro vite. La poetica della provincia americana si intreccia improvvisamente col senso di inadeguatezza giovanile, in una spinta creativa e grottesca che inquieta lo spettatore fino a farlo star male. Gummo è ambientato ai confini dell’immaginario, popolato da personaggi in balìa di una folle realtà, definiti soltanto da depravazione e decadenza. È un esempio di videoarte più che di videoracconto, fatto di momenti e pretesti in cui dei potenziali giovani spettatori possono eventualmente immedesimarsi. Il film è come un pugno nello stomaco, tutto ciò che usa serve per disturbare: dal font utilizzato nei titoli di testa e di coda, alla musica, alla simbologia, ai colori, alla fotografia, agli sguardi in macchina e agli strani visi dei protagonisti. La poetica compositiva sembra alquanto disordinata, come se fosse una sorta di puzzle composto da pezzi che non appartengono allo stesso disegno, eppure niente è lasciato al caso. Pensiamo alla scena iniziale, all’iconico bambino con le orecchie rosa da coniglio che apre il film. Solo, esile e apparentemente triste, cammina su un ponte abbandonato con reti di protezione arrugginite, e nel mentre gioca e sputa alle macchine di sotto, come un adolescente qualunque, ma con uno strano cappello da coniglio in testa. Essenza dell’intero film, è egli stesso metafora del culto dell’eccezione e non della regola, dell’abbandono dell’anonimato e della banalità della provincia americana, a favore di una vita ai margini, ma pur sempre vera, reale e letale, alla soglia di un nuovo e incerto millennio.
Così si chiude il nostro breve ma intenso sguardo sulla settima arte! Augurandoci di avervi fatto scoprire qualcosa di interessante, vi consigliamo la visione dei due grandi film iconici di Larry Clark sceneggiati da Harmony Korine, Kids e Ken Park, insieme a Gummo, Julien Donkey-Boy e Mister Lonely sceneggiati e diretti da Korine stesso. Dal catalogo Bibliotu vi suggeriamo inoltre il testo Il cinema indipendente americano di Geoff King, Einaudi 2006.
a cura di Virginia
Progetto Servizio Civile 'Giovani e Innovazione nelle Biblioteche'
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