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9 - 15 marzo 2021

Libri su Roma nelle recensioni dei nostri lettori

Evento unico e centrale della storia risorgimentale, esperimento brevissimo (neppure un anno, dal ’48 al ’49) di democrazia politica con ampio suffragio elettorale maschile, in un clima italiano ed europeo di generale sommovimento, la Repubblica romana rimane, a differenza di quanto pensava Gioberti nel  Rinnovamento, il culmine dell’opera mazziniana e radicale prima del tempo del realismo politico, che vedrà prevalere l’esperienza annessionistica piemontese del Regno d’Italia. Quel momento non tornerà più, ma l’eco ne rimarrà come speranza. L’artefice del cambiamento fu un Papa, Pio IX. Un personaggio complesso, contraddittorio, per certi versi vittima delle circostanze. Giunto tardi sul suolo pontificio, impose subito l’amnistia, si mosse in sintonia col popolo, abbracciò l’idea di concedere lo Statuto e di promuovere un governo più laico nella sostanza. Ma poi, di fronte alla guerra contro l’Austria preferì dichiarare la chiesa universale e non nazionale, distante dalla politica, anziché partecipe di un discorso unitario. Sfumò la prospettiva moderata di un’azione politica di rigenerazione e la Repubblica, nata qualche tempo dopo il suo volontario esilio a Gaeta, avrà un’altra fisionomia. Eppure tal fatto, ci dice Stefano Tomassini, non può essere percepito come lo spartiacque di una divisione tra laici e cattolici ancor viva ai nostri giorni. La frattura è simbolica, motivata dal disconoscimento della nazione a fondamento di un’idea di pace e di umanità, o della società e degli stati – secondo uno schema presente nella polemica gesuitica di tutto l’Ottocento. Ma l’atteggiamento di opposizione del Papa non era motivato da preconcetto (che del resto non spiegherebbe la sua posizione originaria) ma dalla necessità così difficile di padroneggiare gli eventi, di non spingersi troppo a destra o troppo a sinistra, per ragioni di pace, di equilibrio, di sopravvivenza. Il peso della realtà ha avuto la precedenza sull’ideologia, sulla forza degli schieramenti. Quella divisione è allora da attribuire ai fatti successivi, alle frange della politica cavourriana, al restringimento degli stati pontifici nel 1859 (l’occupazione delle Marche, dell’Umbria, del Lazio, e di Roma solo nel 1870). Insomma la Repubblica non si pose essenzialmente come stato laico contro lo stato della Chiesa, né la sua breve durata ci consente di fare approcci che la spingano sul piano del dispotismo o dell’esperienza pretotalitaria. Dittatura e triumvirato sono esperienze revocabili e transitorie secondo gli schemi della politica antica. E, per usare le parole di Viroli, l’autore ci ricorda che il patriottismo di Mazzini, il primo dei triumviri, non è da confondersi col nazionalismo dei fascisti, e la democrazia è cosa ben diversa dall’infatuazione demagogica di autocrati passati e presenti. Insomma un evento unico intraducibile in categorie contrapposte o in esperienze di dominio estremo ancora di là da venire.
(Pietro Cavara)
 
 
Stefano Tomassini, Storia avventurosa della rivoluzione romana. Repubblicani, liberali e papalini nella Roma del '48, II Saggiatore, 2008
 
 
 
 
 
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