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18 novembre - 1 dicembre 2020

Biografie e memorie: segnalazioni dal catalogo del patrimonio della biblioteca Vaccheria Nardi. Rubrica del mercoledì

«Poche donne nella storia ebbero la possibilità di distinguersi nelle discipline scientifiche (…) La più nota, nella tarda antichità, fu senza dubbio Ipazia, scienziata e filosofa, nata ad Alessandria d’Egitto nel 370 d.C., inventrice di strumenti come il planisfero e l’astrolabio. Figlia del matematico Teone, e lei stessa prima matematica della storia, fu la più nota esponente alessandrina della scuola neoplatonica, circondata dal rispetto di allievi giunti da ogni angolo del mondo. Vissuta in un’epoca confusa e intollerante, segnata dallo scontro fra la civiltà ellenistica e il protocristianesimo, la fama di Ipazia suscitò l’odio del vescovo Cirillo, al punto di fargli tramare la sua uccisione. Aggredita da un gruppo di monaci fanatici, fu trascinata in una chiesa e uccisa a colpi di conchiglie affilate. Mentre ancora respirava, le cavarono gli occhi come punizione per aver osato studiare il cielo. Dopo averla fatta a pezzi cancellarono ogni traccia di lei bruciandola. (…) In questo romanzo l’autrice ricostruisce la vicenda umana della filosofa, con i suoi affetti, la sua sete di conoscenza e il suo bisogno d’amore: una donna la cui volontà non diede mai segno di piegarsi a ciò che il destino e la sua epoca le avevano riservato». (tratto dalla seconda di copertina del libro)
 
«Ipazia guarda pensosa il suo astrolabio, un oggetto per lei tanto più prezioso e caro in quanto porta l’impronta delle mani e della mente grandiosa di Teon, suo padre e maestro. Ma anche Sinesio ha un grande posto nel suo cuore. (…) Quanto prima concluderà la sua missione a Costantinopoli, tanto più presto tornerà da lei, per riprendere l’antica consuetudine di lavoro, di studio, di ricerca appassionata insieme. È bello avere accanto Sinesio, discutere con lui, mettere a confronto le idee, cercare una soluzione ai problemi; fare con lui come Teone faceva prima con lei, essergli guida e maestra, e sentire intanto che l’allievo sta crescendo, che già eguaglia il precettore e forse sta per superarlo. Nessuna invidia, no di certo; anzi, soltanto gioia, l’inconfondibile gioia che provano i grandi, i generosi maestri, quando sentono che il loro lavoro non è passato invano e che al momento di lasciare questa vita potranno consolarsi sapendo che qualcuno continuerà l’opera loro. (…) «A Sinesio, Ipazia, salve. Prendilo come un dono e usalo come vuoi; se credi, regalalo al tuo amico Peonio, e che la tua missione abbia l’esito sperato. Ti aspetto ad Alessandria: ne costruiremo un altro insieme». ( Ipazia muore, p. 66-67)
 
L’autrice, Maria Moneti Codignola, docente di Filosofia morale all’università di Firenze, ha studiato il socialismo utopistico, l’illuminismo francese, la filosofia classica tedesca e si occupa di bioetica.
 
 
Maria Moneta Codignola, Ipazia muore, La Tartaruga, 2010