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Occhio al territorio: Palazzo del pappagallo 1929

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Occhio al territorio: Palazzo del pappagallo 1929

16 - 26 agosto 2021

Rubrica di approfondimenti

Oggi parliamo di ARCHITETTURA MODERNA:

Il palazzo detto “del Pappagallo” mi era sempre piaciuto, anche se all’inizio non sapevo nemmeno che si chiamasse così. Forse quella costruzione caratterizzata da colori sgargianti – verde rosso e giallo, gli stessi della bandiera africana – era una premonizione di quello che sarebbe poi diventata la mia fascinazione per il reggae. Così scrive Rastablanco, del gruppo Radici nel cemento, nel libro: OSTIA! Romanzo di una periferia, Redstarpress, 2017

(se vuoi leggere il brano clicca qui)

Effettivamente si tratta di un edificio stravagante dai colori che sembrano quelli del piumaggio di un pappagallo disegnato da Fortunato Depero.

Ma l’intento dell’architetto Mario Marchi, che lo ideò e costruì tra il 1929 e il 1930, fu proprio quello di andare oltre la rigidità del linguaggio monumentale della città del lavoro e sbizzarrirsi in forme e colori che trasmettessero l’idea del riposo, della vacanza.

Mario Marchi era un architetto impegnato nel suo percorso progettuale in un rinnovamento e semplificazione dei linguaggi tradizionali ed aveva già lavorato ad Ostia in Piazza dei Ravennati.

Situato in un lotto che affaccia sul Grande Piazzale Popolare (attuale Piazza Anco Marzio) e sul lungomare, è un grande blocco di 6 piani a forma di C, con due corpi scala ai quali si accede dal fronte posteriore.

   

 

Il progetto redatto per i fratelli Finocchi, è ispirato ai principi compositivi dell’espressionismo tedesco e, in particolare, ai grandi caseggiati popolari (i cosiddetti Höfe), della Vienna socialista e presenta una facciata simmetrica che tuttavia non corrisponde ad una simmetria nella distribuzione degli alloggi in pianta.             

  

Il fronte sulla piazza si presenta svuotato nella parte centrale da un doppio ordine di logge e, lo stridente contrasto dei suoi colori, si oppone all’insistente andamento orizzontale delle sue linee compositive. Questa scelta progettuale produce quasi uno schiacciamento a terra del volume, mediante le alte fasce marcapiano trasformate in parapetti di colore verde. I balconi a forma di triangolo, con la punta che sporge verso l’esterno lasciano spazio al piano inferiore ai rossi balconi con tubolari in ferro. Più sotto ancora, troviamo la fascia verde diamantata, interrotta da ampie finestrature e da strette bucature ottagonali, che corrisponde agli alloggi del piano rialzato  e poggia sul piano seminterrato delle cantine e dei servizi.

   

 

Il coronamento si svolge in una fascia continua che abbraccia l’intero edificio, con due logge nelle estremità. Il piano attico è costituito da un volume articolato dallo svuotamento degli angoli a formare due terrazzi e si conclude nell’arretramento della zona centrale, quasi un’altana, caratterizzato da ampie finestre gialle dal profilo poligonale. Qui si accostano i volumi bianchi, con oblò, dei servizi (stenditoi, cabine per l’acqua e corpi scala).

     

Alcuni condomini "anziani"  raccontano che, probabilmente durante la guerra,  il palazzo è stato utilizzato come  commissariato e le cantine erano le celle in cui rinchiudevano le persone arrestate. In effetti alcune porte delle cantine hanno la finestrella ad altezza occhio.

Nell'Album di Roma ci sono due foto del 1942 in cui sembra che la facciata fronte mare sia senza finestre o con le finestre murate

Foto 1

Foto 2 

I disegni dei Prospetti sono tratti da: (Archivio Storico Capitolino, in Salucci, 2008: 183)
Fonte: Salucci, Antonella. Tra concorsi e sperimentazioni. Il piano urbanistico di Ostia. in Mezzetti, Carlo (a cura di)

Il disegno della palazzina romana. Roma: Edizioni Kappa. ISBN 9788878908321 pg.183

Per i video e le foto si ringrazia @La mia Ostia di  Aldo Marinelli

Album foto  

Video  

Redatto da Maria Grazia Pirrone
 
 
(Ins.16/08/2021-Don.Zap.)

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Occhio al Territorio