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Occhio al territorio: Le idrovore di Ostia Antica

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Occhio al territorio: Le idrovore di Ostia Antica

19 novembre - 3 dicembre 2021

Rubrica di approfondimenti

Alla fine del 1800 il litorale romano era caratterizzato da stagni ed acquitrini e, dunque. non era possibile lo sfruttamento agricolo o edilizio, ed era compromessa la salute dei suoi abitanti afflitti da secolari problemi legati alla malaria.

Gran parte dell’agro romano era infatti immerso in una palude: migliaia di ettari, invasi da acque stagnanti, erano abitati da pochi disperati e la foce del Tevere si apriva in un delta palustre e deserto. Solo con l’unità d’Italia e la conquista di Roma nel 1870, la bonifica dell’agro romano raggiunse le aule parlamentari; inoltre in quello stesso anno Roma ed il territorio di Ostia subirono una straordinaria alluvione che provocò danni e gravi problemi di salute pubblica. Lo Stato italiano cominciò ad affrontare il problema solo quando, l’11 dicembre 1878, venne approvata la legge n. 4642 per il miglioramento igienico di Roma e la bonifica delle aree di Ostia e Maccarese. Tali interventi vennero dichiarati lavori di pubblica utilità da svolgersi a carico dello Stato ma solo nel 1884, sotto la spinta del deputato socialista Andrea Costa, quell’impegno fu finanziato ed approvato, consentendo alle squadre di operai romagnoli di procedere alla bonifica. Infatti i braccianti impiegati nell’opera arrivarono proprio dalla provincia di Ravenna dove, nella metà degli anni Ottanta, c’era un tasso di disoccupazione altissimo, con forti conflitti sociali che lo Stato reprimeva duramente. Così, proprio per disinnescare il pericolo di rivolte popolari più vaste, fu deciso di dare il via ad una serie di grandi opere pubbliche, come quella della bonifica del litorale romano. A Ravenna operava già la Società dei Braccianti, coordinata da Federico Bazzini ed Armando Armuzzi. Quest’ultimo, nel 1883, insieme a Nullo Baldini costituì la prima Cooperativa di lavoratori in Italia, formando l’Associazione Generale degli Operai Braccianti del Comune di Ravenna che si aggiudicò il subappalto dei lavori.

Il 14 settembre 1884, partì un piccolo gruppo di Ravennati guidati da Federico Bazzini, che si trovarono di fronte uno scenario desolante di acquitrini, pozzanghere e misere abitazioni, molto peggiore di quello che si aspettavano. Pensiamo solo che, a quel tempo, il terreno della zona era mediamente 35 cm. sotto il livello del mare, raggiungendo in alcuni punti anche i 100 cm. Nonostante ciò, la mancanza di lavoro era un grave problema e quindi il 4 novembre 1884 partirono in 500 da Ravenna, su un treno speciale, salutati alla stazione da una città intera, col sindaco, l’intera giunta e la banda. Erano divisi in 50 squadre da dieci uomini, gli «scariolanti»: ogni squadra era affiancata da una donna, alfabetizzata, punto di riferimento per le necessità dei bonificatori, per l’organizzazione e l’amministrazione del gruppo,  che doveva anche cucinare e, soprattutto scrivere le lettere a casa; infatti, all’epoca, l’analfabetismo in Italia era superiore al 70%. Il treno arrivò direttamente a Fiumicino e vennero ospitati tutti a Villa Guglielmi. Il giorno dopo la metà di loro si avviò a piedi verso Ostia con carriole, pale di legno e vanghe. Gli “scariolanti” traversarono Isola Sacra, giunsero a Fiumara Grande ed il loro primo contatto con la palude lo ebbero attraversando il Tevere sul traghetto di legno La Scafa guidato da un vecchio che li mise in guardia e consigliò loro di tornare indietro perché sull’altra riva c’era l’inferno, così lo ribattezzarono “Novello Caronte”.

 

    

 

 

 Sbarcati a Tor Boacciana, attraversando paludi ed acque stagnanti raggiunsero Ostia Antica, dove, il custode del borgo, Grammodoro unico abitante del luogo, giallo e febbricitante, disse loro: «Qui non vive nemmeno il diavolo». Molti si spaventarono, ma vennero fermati da Baldini e dal suo vice Armando Armuzzi che li esortò in dialetto: «Pensavate di andare all’Osteria della Betta? Siete partiti da eroi e volete tornare da vigliacchi?». Tanto bastò a farli rimanere. E il lavoro cominciò il 26 novembre di quello stesso anno, con la promessa che nel periodo più pericoloso dell’infezione, i lavori sarebbero stati sospesi e loro sarebbero tornati nelle proprie case a Ravenna. Furono anni difficili, di sacrifici, duro lavoro e sconforto, complicati anche dai rischi della malaria che provocava una mortalità del 20% tra i braccianti.

Dopo vari tentativi fallimentari, tipo colmare le paludi con la terra presa dal greto del Tevere o far confluire le acque in una grande vasca, si comprese che l’unico modo era quello di dividere le acque alte da quelle basse, per limitare il volume delle acque da sollevare con le pompe idrovore. Infatti le prime dovevano essere convogliate al mare attraverso i canali, mentre le seconde dovevano prima essere innalzate attraverso delle pompe idrauliche. I lavori cominciarono con l’escavazione del Grande Canale dello Stagno, oggi denominato Canale dei Pescatori, poi vennero realizzati gli altri, per un totale 5 canali e 22 chilometri di lunghezza. Essi avevano il compito di raccogliere le acque delle piene del Tevere e convogliarle verso il Grande Canale dello Stagno che le faceva defluire nel mare senza bisogno di sollevamento. La costruzione invece dei Collettori di Ponente e di Levante, per una lunghezza di 11 chilometri, servì a sollevare le acque che si trovavano al di sotto del livello del mare ed a portarle nella grande vasca di scarico delle acque basse; da qui, le acque,  sollevate dalle pompe idrauliche venivano portate nella vasca di arrivo per iniziare poi a scorrere verso il mare attraverso il Grande Canale dello Stagno. Il luogo scelto per la costruzione dell’impianto fu nei pressi del Grande Canale, onde utilizzarlo per lo scarico a mare; Il fabbricato è composto da un corpo centrale, ad un piano, che ospita le pompe idriche e l’officina e da due corpi laterali, a due piani, per gli uffici e le abitazioni dei sorveglianti. Oggi è possibile ammirare la sala macchine, rimasta pressoché nelle condizioni originarie, che conserva le prime pompe di sollevamento idraulico, tuttora funzionanti.

     

Il 16 novembre 1889 entrarono in azione le prime pompe idrovore a vapore, cominciando a prosciugare tutte le depressioni di Ostia,  mentre i Collettori iniziarono il loro lavoro il mese successivo. Ci vollero poi altri sette anni per rendere coltivabili le terre. Gli scariolanti, finita la prima fase di bonifica divennero agricoltori e furono raggiunti dalle loro famiglie; fondarono la Cooperativa Agricola dei Ravennati residenti ad Ostia ed il demanio dello Stato gli concesse in affitto tutti i terreni bonificati. Il 15 maggio 1904, ad opera compiuta, ci furono grandi festeggiamenti e con una cerimonia ufficiale fu posta una lapide con l’epigrafe Pane e Lavoro, composta da Andrea Costa per ricordare il sacrificio dei bonificatori romagnoli. Come scrive Massimiliano Di Giorgio nel libro: Ostia Storia ambiente itinerari (a cura di S. Lorenzatti): “Negli anni successivi, gli ex sovversivi romagnoli, un tempo repubblicani, socialisti, anarchici, si integrarono pienamente. E se altrove la presa del potere da parte del fascismo aveva provocato proteste, scontri rivolte, in questa parte della grande periferia romana il nuovo regime si impose senza colpo ferire. D’altronde fu proprio il cavalier Mussolini, nominato socio onorario della cooperativa, il più strenuo difensore di quei braccianti, romagnoli come lui, e dei loro discendenti. Nel 1928, dunque il capo del governo firmò il decreto che assegnava alla cooperativa i terreni bonificati di Ostia e Fiumicino in enfiteusi perpetua.”

Tra i bellissimi edifici semplici e lineari delle Idrovore di Ostia Antica si trova la sede dell’unico museo storico sul territorio, l’Ecomuseo del Litorale Romano. Nato dall’idea ambiziosa e necessaria di preservare  la memoria storica di questo territorio, progettato e studiato dai due fondatori Paolo Isaja e Maria Pia Melandri (da poco scomparsa), il museo  comprende due percorsi complementari e integrati dal punto di vista museografico e ambientale.

Il primo percorso, tutto esterno è incentrato sulle tecniche di bonifica (impianto idrovoro e aree adiacenti), il secondo percorso, interno, è articolato in varie sezioni che rappresentano diversi aspetti  socio antropologici  connessi al periodo della bonifica e consentono al visitatore un viaggio nel tempo e nello spazio.  Nelle sale vengono presentati documenti fotografici d’epoca, memorie e reperti, oggetti d’uso domestico e strumenti di lavoro originali, testimonianze audio e video registrate di protagonisti e possessori di memorie di vita dell’ultimo secolo, modelli e set ricostruttivi dell’impresa di bonifica nonché un plastico in scala dell’area interessata che simula il funzionamento dell’impianto idrovoro di Ostia. Infine sono proiettati film documentari sulla storia del territorio prodotti in esclusiva per l’Ecomuseo.

Redatto da Mariagrazia Pirrone

 

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Per i video e le immagini si ringrazia @La mia Ostia di  Aldo Marinelli

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canale dei Pescatori

 

Ecomuseo del Litorale Romano

Qualche notizia in più sull'Ecomuseo


Via del Fosso di Dragoncello, 168/172 (Impianto idrovoro di Ostia Antica)

 

(Ins. 17/11/2021-Don.Zap.)

  

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