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Occhio al territorio: architettura moderna ad Ostia, gli stabilimenti balneari (1)

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Occhio al territorio: architettura moderna ad Ostia, gli stabilimenti balneari (1)

16 - 29 luglio 2021

Rubrica di approfondimenti

Parte Prima

Nel 1931 fu deciso il  prolungamento del Lungomare Duilio verso Levante, abbandonando l’idea  della realizzazione, in tale area, del porto industriale previsto dal piano regolatore del 1916. Questo rese possibile lo sviluppo balneare di Ostia fino al Canale dei Pescatori per 3 Km. e consentì la fruizione al pubblico di nuovi splendidi arenili caratterizzati da una straordinaria valenza paesaggistica e naturalistica.

Nel 1933 la Capitaneria di Porto di Civitavecchia predispose quindi un bando per la costruzione in quest’area di tre stabilimenti balneari, che nelle dotazioni e nei servizi offerti dovevano soddisfare a ben precisi requisiti di qualità e di “signorilità”. Pena la revoca della concessione, era inoltre obbligatorio il rispetto delle “visuali prospettiche”: il verde degli alberi doveva essere sempre visibile dalla linea di battigia, così come, da qualsiasi punto della strada litoranea, si doveva poter traguardare il mare, con l’unica eccezione delle costruzioni stabili, la cui architettura doveva altresì riflettere il carattere elitario degli impianti.

L’uno dopo l’altro sorsero il Plinius, La Pineta e poi il Rex , ai quali, negli anni successivi, si affiancano altri stabilimenti più piccoli (il Duilio, il Belsito, la Lega Navale, il Dopolavoro del Ministero delle Comunicazioni e quello del Governatorato di Roma).

 

PLINIUS 1933

Il Plinius, fu progettato nel  1933  dall’architetto Leopoldo Botti, posto di fronte al complesso di abitazioni dell’I.N.C.I.S., aveva caratteristiche di “tipo signorile” come richiesto dal bando; l’impianto è costituito da un grande edificio d’ingresso a terra e da una rotonda, collegati tra loro da un pontile; alle due estremità del lotto sono inoltre inseriti due piccoli fabbricati adibiti a servizi.

Tutte queste costruzioni sono in muratura, con struttura in cemento armato; le 590 cabine, erano invece in legno e alla fine della stagione balneare dovevano essere obbligatoriamente smontate (occorrevano soli 30 minuti per smontare ciascun casotto) e riposte in appositi locali ricavati sotto al pontile. Per soddisfare la norma sulla salvaguardia della visuale del mare, l’architetto sfruttò il dislivello di circa due metri esistente tra la quota del lungomare e quella dell’arenile, utile per il posizionamento delle cabine in legno.

L’edificio a terra, che è collegato alla strada litoranea da un’ampia scalinata, contiene al livello principale la biglietteria e gli uffici; il piano superiore è occupato da un grande salone rettangolare dotato di un’ampia terrazza con affaccio verso il mare, mentre alla quota dell’arenile si trova una tavola calda.

      

 L’edificio a mare è invece un grande salone semicircolare, che ospita il ristorante ed è  circondato da una terrazza-belvedere dalla quale parte una passerella lunga 38 metri che si  conclude con una piccola piattaforma  affacciata sul Tirreno.

Gli eventi bellici provocarono la distruzione dell’edificio a terra, ricostruito, con diverse semplificazioni, poi nel 1946.

Seppure le terminazioni circolari del fronte interno dell’edificio d’ingresso, scandite da pilastri, denotino ancora qualche retaggio più tradizionalista, nella definizione dei prospetti e nell’attenzione  agli aspetti tecnici e funzionali dell’impianto, risulta evidente l’adesione dell’autore al nuovo lessico modernista. I canoni dell’architettura razionalista  si ritrovano  nell’uso del vetrocemento sulle testate dell’edificio a terra (non più presenti), nella forma delle bucature, nell’orologio, che era posto sulla testata di Ponente e nelle balaustre a tubi orizzontali. La scelta dei dettagli, inoltre, è chiaramente desunta da modelli navali.

 

LA PINETA 1933,  oggi VECCHIA PINETA

Anche lo stabilimento La Pineta venne realizzato sulla base del bando appositamente predisposto nel gennaio del 1933 dalla R. Capitaneria di Porto, che prevedeva  l’adozione di caratteristiche architettoniche e funzionali di particolare pregio.

Lo stabilimento doveva  soddisfare le esigenze di una clientela elitaria e, in effetti, fin dall’inizio venne frequentato dai membri dell’aristocrazia romana, che potevano godere dell’alta qualità dei suoi servizi, tra i quali l’eccellente ristorante, la cui gestione è affidata al personale di uno dei migliori alberghi della capitale.

L’impianto, firmato da due professionisti con studio a Venezia, il noto architetto Virgilio Vallot e  l’ing. Giovanni Sicher e realizzato per conto della Società Elettroferroviaria Italiana, concessionaria del lotto, è composto da una costruzione stabile affiancata da due bracci di cabine disposti a semicorte.

 

  

Il fabbricato centrale, che i due autori dichiarano essere ispirato “alle più pure linee del novecentismo” italiano,  contiene uffici, servizi ed un elegante ingresso ed è dominato dalla grande sala ristorante, dotata di ampie vetrate a sud e a ovest, appositamente studiate per consentire la vista del tramonto sul mare. Mentre per l’illuminazione notturna era previsto un sistema di luci indirette che formavano giochi luminosi.

     

Le cabine, definite nella relazione che accompagna il progetto “le più lussuose d’Europa”, hanno una caratteristica copertura curvilinea e sono suddivise in più vani (veranda, spogliatoio, doccia).

A differenza del più famoso Roma (di cui parleremo in seguito), La Pineta, si salvò miracolosamente dai danneggiamenti della guerra  e sopravvisse. Fu scelto in un primo tempo come quartier generale nazista, quindi, dopo la liberazione fu occupato dagli alleati e per questo motivo superò illeso il conflitto.

Fu amato da Mastroianni e da Fellini e nel secondo dopoguerra  cambio  nome in  “Vecchia Pineta” per distinguerlo dal vicino “Nuova Pineta”, costruito proprio in quel periodo. Negli ultimi anni lo stabilimento è stato oggetto di un cospicuo e apprezzato restauro, che seppur stravolgendo in modo  lieve alcuni aspetti decorativi, ha il merito di aver mantenuto quasi integralmente la purezza delle linee originali e di aver restituito ai lussuosi spazi  una bellezza degna di quella del loro passato. Purtroppo il progetto ha previsto anche un’ intervento di ampliamento, rimasto incompiuto, che ha in parte  alterato  la sua originaria eleganza.

 

REX 1936, oggi LE DUNE

 

Quella dello stabilimento Rex fu la concessione più ampia del nuovo Lungomare di Levante. Fu disegnato e seguito nella sua realizzazione dallo stesso proprietario il Prof. Raffaello Ferro, che nel 1935 presentò una variante del  progetto di Enrico Del Debbio,. L’impianto balneare aveva il corpo centrale realizzato in muratura dalla Pozzi e Serangeli di Roma e i capanni in legno disposti sull’arenile in due gruppi, per un fronte mare di 500 mt profondo oltre 50 mt. Fu intitolato al transatlantico italiano Rex che nel 1935 aveva vinto il primato di velocità sulla traversata Europa-Nord-America. Fra i servizi offerti, il prof. Ferro garantiva anche una navetta gratuita per i suoi clienti in coincidenza con tutti i treni in arrivo e in partenza dall’unica stazione di Ostia centro. Il piano dei servizi era perfettamente organizzato con cucine, sale da pranzo ed un precursore dei moderni “self service”:  potevano essere serviti 800 pasti completi nel giro di due ore e mezza. Finita la guerra la proprietà e la gestione venne presa da altri ed il grande complesso balneare cambiò nome prima in Mediterraneo e poi in Tibidabo e fu radicalmente modificato nel suo aspetto architettonico. Il suo enorme salone circolare (oggi sostituito dalla piscina), verso la fine degli anni ottanta fu gravemente minacciato dall’erosione marina.

Per i video e le foto si ringrazia @La mia Ostia di  Aldo Marinelli

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Redatto da Maria Grazia Pirrone

 

(Ins.15/07/2021-Don.Zap.)

 

 

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