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Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio : [romanzo]

Rapino, Remo

Minimum fax 2019

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Vincitore Premio Campiello 2020. Nella dozzina del Premio Strega 2020. [...]
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  • 5 / 5 utenti hanno trovato utile questo commento

    Cesarina Evangelista

    08/04/2021
      

    E’ come vederlo questo “cocciamatta” ottantacinquenne mentre scrive la sua vita curvo sul tavolo di marmo freddo, lentamente, così la morte aspetta. Quello che colpisce al primo impatto è la scrittura: un flusso di coscienza, senza filtri grammaticali o di costruzioni sintattiche. Una lingua che esiste solo nel vocabolario delle persone semplici, senza istruzione ma con la sapienza degli uomini puri di spirito. L’uso di similitudini e di allegorie, di metafore e di onomatopee restituiscono al racconto una carica emotiva che appassiona e coinvolge il lettore. I ricordi di vita di Bonfiglio Liborio, nato nel 1927, scorrono a volte con dolore, altre con mestizia, altre ancora con rimpianto, ma anche con allegria. Quasi un secolo di storia vista con gli occhi semplici di un uomo del popolo. Scorre la miseria, la negazione della scuola, la guerra, la liberazione, la migrazione al Nord Italia, le lotte sindacali, gli scioperi selvaggi, le bombe, la concorrenza straniera. E un uomo alla costante ricerca di un padre che, come diceva sua madre, aveva gli occhi come i suoi. Un uomo solo, che si è portato dietro i “segni neri” per tutta la vita perché “chi sta nella merda ci rimane fino al collo, gli altri al massimo sentono la puzza”! Il protagonista ha un cuore buono, riesce a trovare del positivo in tutte le situazioni, seppur difficili, in cui si viene a trovare, ma è anche consapevole delle ingiustizie, delle sopraffazioni dell’uomo sull’uomo e quando non ne può più reagisce, subendone le conseguenze. Il racconto è spesso ripetitivo, scorre lentamente, quasi per dare il tempo al lettore di comprendere e di assaporare le storie, un racconto con un finale da poesia lirica, dolce, commovente, in cui riemergono gioie, dolori, ricordi e rimpianti che hanno costellato la sua lunga vita.
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  • 2 / 2 utenti hanno trovato utile questo commento

    Laura Bazzoni

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    04/04/2021
      

    L'arte di saper godere delle piccole cose

    Uno strepitoso cocciamatte ripercorre a ritroso la storia della sua vita, che è poi la Storia d’Italia degli ultimi ottanta anni, raccontata da uno di quelli il cui nome non è destinato a finire nei manuali che si studiano a scuola. Fin dalla nascita la vita ha in serbo per lui molteplici difficoltà e pochi affetti umani. La solitudine torna come una costante per tutta la sua esistenza: la profonda amarezza di non poter mai contare su nessuno scorre sempre, sottile ma palpabile. Ma il cocciamatte è tenace. Percepisce la sua diversità ed è consapevole dei suoi limiti, per questo, ogni volta che non si rende bene conto di cosa stia accadendo, osserva il mondo mettendosi in un angolo, prima di agire. Una mente diversamente pensante coglie meglio le divergenze della realtà: Bonfiglio Liborio rileva puntualmente ingiustizie e contraddizioni, e ce le racconta con un’ironia dissacrante. Il suo sguardo è privo di acuti strumenti di comprensione, ma il suo animo è supportato da una profonda dignità ed una testarda resilienza. Egli prova empatia verso il prossimo. Non giudica perché sa che ciascuno può aver avuto i suoi “segni neri” nella vita: riuscendo a convivere anche con chi ha vite diverse dalla sua, ribalta il punto di vista, e spesso viene da chiedersi chi siano i veri matti. Quelli che cronometravano il tempo ai lavoratori, quelli che imponevano la produttività anche il giorno di un grave incidente ad un operaio, quelli che usavano con arroganza il loro potere, i dottori del manicomio, i paesani che si facevano beffe di un vecchio? Liborio è guidato dall’istinto di sopravvivenza. Cerca l’essenziale, lo sa apprezzare, si concede con parsimonia qualcosa di superfluo: quando lo fa, è disposto a goderne a pieno. Sa accettare la sorte che lo costringe a dover ricominciare sempre tutto daccapo. Ma ogni volta prova a rendere più umana e tollerabile la sua condizione. E’ un uomo che per tutta la vita rivendica, per sé e per tutte le persone ai margini della società, il diritto ad essere capiti ed accolti, pur nella loro diversità. La peculiarità del romanzo, quella che gli conferisce corpo e carattere, è lo stile con cui è scritto. Liborio racconta la sua storia, un ininterrotto flusso di coscienza, in prima persona. E’ convinto che, finché racconterà, potrà ancora vivere. Si trasforma in un cantastorie, che trasporta parole dialettali ed espressioni inventate al di fuori dei confini del suo paese, per farle scontrare con i dialetti del Nord, le lingue “strauss”, che non capisce ma con le quali impara a entrare in comunicazione. La punteggiatura, rara e sconnessa, sembra trasfigurare un personaggio che si muove zoppicando nel mondo, ma che è comunque deciso a lasciare una traccia di sé, perché qualcuno, almeno da morto, lo ricordi. Tutti i ricordi della vita mia ci faccio scrivere sulla lapide, dopo che un giorno prima o poi farò l’ultimo volo di rondine. La lapide deve essere di marmo chiaro, con le lettere d’oro, finto però, che va a finire che se sono di oro vero, come ci sta per il mondo la malagente, uno in una notte di poca luna se la ruba, che dopo si legge meno di niente, e tutto quel lavoro va sprecato, e mai si saprà chi ci dorme sotto quella terra e manco un cane mi si ricorda. Amen.
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  • 3 / 3 utenti hanno trovato utile questo commento

    Daniela Bertoglio

    01/01/2021
      

    A 86 anni Bonfiglio Liborio, considerato dai compaesani "quello matto" del paese decide di raccontare la sua storia, cominciando dall'infanzia. Lo fa con lo stile di uno che a 10 anni ha iniziato a lavorare, a fabbricare funi, con una madre tubercolotica e un padre che se ne è andato via prima ancora che lui nascesse, poi alla morte della madre fa il garzone del barbiere, poi perde anche quel lavoro, e lo mandano in guerra. Sinceramente, con uno stile di scrittura volutamente "terra terra" ho trovato questo romanzo parecchio noioso, ripetitivo, avrei preferito che l'autore avesse usato un altro registro narrativo, riservando questo italiano zoppicante solo ai dialoghi. Anche perché non sembra un linguaggio reale, ma reso povero in maniera artificiosa. No, non mi è piaciuto proprio per niente.
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  • 7 / 7 utenti hanno trovato utile questo commento
    17/07/2020   

    Il cocciamatte

    E' un libro singolare con un incipit fulminante. La lingua è un groviglio di abruzzese, con glossario alla fine, italiano e parole inventate lì per lì. Bonfiglio Liborio, figlio di Maria Bonfiglio, è il matto del paese. Mica tanto matto, tuttavia, come ci dice il direttore del manicomio dove viene ricoverato. Attraverso gli occhi del protagonista, l'autore ci fa conoscere l'Italia fascista, la resistenza, il dopoguerra, il boom economico e il terrorismo del 1978. Il padre di Liborio è andato alla Merica e non si sa se sia vivo o morto. C'è tuttavia il maestro Cianfarra Romeo che gli regala il libro Cuore e gli insegna tante altre cose. Ad apprezzare l'opera, per esempio, anche se suonata dalla banda. Bonfiglio Liborio corre per questa Italia facendo mille mestieri nella battaglia per la vita. Il funaro, il barbiere, lavora alla Borletti, raccoglie frutta, e poi lavora alla Ducati. E qui che a un certo punto Bonfiglio Liborio, facendo al capo turno un semplice calcolo matematico delle ore lavorate, si pone la domanda a cosa sia servito tutto questo suo lavorare. E lo picchia, il capo turno. E lo mettono in manicomio. E qui che conosce Balugani Teresa, che potrebbe essere sua figlia, e alla quale si affeziona ma lei si butta dal terrazzo più alto e diventa un fagotto di carne tritata. Ma c'è soprattutto Giordani Teresa, l'amore della sua vita, che sposa un altro perché è incinta. La rivede, Giordani Teresa, dopo tanti anni, ed è vecchia, grassa e sfatta ma Bonfiglio Liborio si toglie lo sfizio di portarsela a letto, tanto è una ciandelletta. Il libro finisce con l'iscrizione sulla lapide: aveva gli occhi uguali a quelli di suo padre. Mancano i miracoli in questo libro. O forse il miracolo è proprio questo: aver raccontato l'avventura di un povero cristo come se fosse l'epopea di un eroe.
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