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Quando i romani andavano in America : scienza e conoscenze degli antichi navigatori

Cadelo, Elio

Palombi <casa editrice> 2009

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Scoperte archeologiche e letterarie di età classica provano che i Romani visitarono l'America prima di Colombo: nei testi si parla di nuove terre ad Ovest e numerosi manufatti ritrovati dimostrano che tra le due sponde dell'oceano Adantico ci furono scambi. [...]
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  • 4 / 4 utenti hanno trovato utile questo commento

    Daniele Di Ceglie

    17/07/2019
      

    Se si parte da queste premesse “”Tutti i popoli che trassero benefici dal mare mantennero sempre segrete le loro rotte” e “…ben poco ci rimane del saper scientifico dell’antichità” (cap. I), si può avanzare qualunque ipotesi, anche che i Romani siano andati in America. Nonostante uno scetticismo iniziale, il libro mi ha piacevolmente sorpreso. Prima di arrivare alla tesi di cui al titolo (che, in definitiva occupa solo l’ultimo capitolo), l’Autore fa un lungo excursus sulle conoscenze astronomiche e nautiche degli antichi popoli, non solo del Mediterraneo, ma anche dell’India e della Polinesia. Ben articolato e documentato, anche se finalizzato a dimostrare la tesi bizzarra che le flotte imperiali siano arrivate in America (e addirittura in Nuova Zelanda!). Va però dato atto a Elio Cadelo di non indulgere nel sensazionalismo come quello di certi “rivisitatori del passato” (il corsivo è suo) che vedono correlazioni tra architetture (ad es. le piramidi) e segni zodiacali (cap. V); o quello di presunti ritrovamenti di armi greche in Micronesia (cap. VIII) riguardo ai quali afferma di aver cercato, ma non trovato, pubblicazioni scientifiche serie. Mancano talvolta i riferimenti bibliografici, ma è comprensibile trattandosi di un giornalista divulgatore e non di uno studioso di professione. Ad esempio: in ben quattro occasioni è detto che Aristotele era convinto che si potesse raggiungere l’India navigando verso ovest, senza mai riportare a quale opera si faccia riferimento; o ancora “prove del passaggio di Romani sono in Tanzania e Mozambico” (cap. IX). Al cap. IX, citando il De rebus bellicis, Cadelo dà per scontato che l’anonimo autore fosse un militare “in pensione”, laddove storici e filologi dibattono da decenni sulla sua possibile identità: un po’ più di rigore avrebbe richiesto anche solo un accenno alla questione (per non parlare del fatto che la “pensione” non esisteva in antico). Al riguardo è curioso che tra i ringraziamenti finali non ci sia nemmeno uno storico né un archeologo. Il libro avrebbe meritato una più accurata revisione delle bozze (io ho lettola seconda edizione) per eliminare i numerosi errori di stampa (pianeta diventa pianta, Sumeri numeri, ecc.) e anche qualche svarione: “la Cambogia (oggi Myanmar)” (cap. VIII) Tutto sommato un libro piacevole: utile e interessante la prima parte. Una divertente favola quella finale, raccontata però senza quella supponenza di certi accademici di fama che propongono come verità assolute tesi anche più fantasiose dei Romani in America
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