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3 / 3 utenti hanno trovato utile questo commento29/11/2024Seconda guerra mondiale, Friuli: nelle valli della Carnia si insedia un gruppo di cosacchi – kazàki – e ciò porta scompiglio e fastidio nelle vite dei paesani. Non chiedono permesso o per favore, prendono quello di cui hanno bisogno senza tanti complimenti, come se avessero diritto di pretesa sulle cose altrui (Vina! Vina! urlano in faccia a chi gli nega da bere). Sembrano i padroni di quella terra, ma “il Friuli non era una steppa asiatica, australiana o americana, era un paese abitatissimo, e dunque la speranza che esso diventasse la loro terra non era che una favola e un’illusione da bambini”. Questa è anche la consapevolezza di taluni, che amaramente riflettono: “Noi kazàki siamo dei profughi e dei fuggitivi, e possiamo soltanto vivere di rapina. Questo è il nostro destino”. Gli unici che sembrano poter contrastare questa orda sono i partigiani – partizany – e infatti tra i due gruppi si instaura un muro contro muro, che in alcuni episodi raggiunge esiti drammatici. Tra tutti emerge la figura di Marta, solitaria custode di una villa, che accoglie con uguale slancio le istanze degli uni e degli altri, concedendosi senza remore né malizia, forse spinta da un ideale di pacifica convivenza. Con questo libro – premio Strega 1985 – Sgorlon ha raccontato una storia poco conosciuta ma reale dell’ultimo conflitto, con penna fine e audace.Hai trovato utile questo commento?
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4 / 4 utenti hanno trovato utile questo commento06/03/2021
Tre donne e i cosacchi in Friuli
Bene ha fatto la Mondadori a ripubblicare questo magnifico libro, Premio Strega 1985. Confesso di essermi avvicinato all’autore e al libro con la stessa preoccupazione di uno studente di liceo verso Manzoni e I Promessi Sposi. Ho quindi iniziato a leggerlo con una certa titubanza, come si fa durante le lezioni di italiano, pronto a rinchiuderlo nel cassetto alla minima difficoltà. E poi me ne sono innamorato perché il libro si regge ed è costruito intorno a tre donne: Marta ne è la protagonista. Ma ci sono anche Alda la bella che muore violentata dai cosacchi. E c’è Anita con il suo bambino avuto da chissà chi. È un libro scritto con serietà e quindi scritto bene. Ed è un libro pieno di pietas che presenta l’invasione dei cosacchi in Friuli e la loro fine tragica, consegnati ai russi o suicidi nelle acque della Drava il 9 maggio 1945, come un dramma la cui rappresentazione teatrale ha una finale segnata dal destino ancor prima che dalla storia e dagli inglesi. E la villa di Esther Heschel, ebrea portata via dai tedeschi insieme agli zingari, diventa il luogo dove tutto si ricompone, dove ogni cosa e ogni persona acquista il senso più profondo di se stesso. Il cosacco Urvan, per esempio, del quale Marta se ne innamora dopo aver perso Arturo in Russia. E il giovane Ghirei, l’unico che si salva, sua madre Danaika e il piccolo Luca. E il colonnello Gavrila che preferirà suicidarsi con la sua donna pur di sfuggire alla maledizione dei cosacchi, sradicati dalle loro terre e dai loro fiumi e che sa di non poter trovare pace tra le montagne della Carnia. E ci sono infine i partigiani. Saetta il più violento e Vento, l’ex militare Ivos, che finita la guerra partigiana torna nel paese e si unisce a Marta per ricostruire una famiglia e dare speranza alle loro vite così segnate dalla morte. Marta, tuttavia, prima di soddisfare il proprio bisogno di intimità familiare deve celebrare una sorta di rito religioso tagliandosi i capelli, anticipando così l’ignominia di venir rapata dai partigiani per essere stata con il nemico. Carlo Sgorlon non assolve nessuno: non è il compito dello scrittore. Lo scrittore descrive e, come nelle tragedie greche, rappresenta. Mette in scena cioè una storia: anzi, più storie intrecciate tra loro, e assegna a ogni attore un ruolo. Ognuno recita la propria parte sapendo che tutto è già stato scritto.Hai trovato utile questo commento?SI NO | Segnala come inappropriato