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Invecchiano solo gli altri

Aime, Marco <1956- >

Giulio Einaudi editore 2017

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L'età media della popolazione in Italia non è mai stata tanto alta quanto ora, eppure nessuno dice di sentirsi 'vecchio'. Definirsi anziani è sorta di tabú, tutti desiderano rimanere giovani in nome dell'eterna giovinezza. [...]
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    Mara Gasbarrone

    11/07/2017   

    Un'amichevole stroncatura

    Perché il libro non mi ha convinto? Perché afferma tutto e il contrario di tutto, nel capitolo successivo, e a volte nello stesso capitolo, senza neanche scrivere “ma anche”. Ad esempio: i vecchi hanno rubato le risorse ai giovani / ci sono tanti vecchi poveri; i baby boomers hanno abdicato al ruolo di genitori, facendo finta di essere solo “amici” dei figli, e privandoli di quel conflitto intergenerazionale, fondamentale per costruire la loro identità // viva i nuovi nonni (non sono gli stessi baby boomers?), che sanno mettersi in rapporto costruttivo con i nipotini, interagendo con loro, al contrario dei nonni di una volta. Poi vi sono le informazioni sbagliate. Ci sarebbero in Italia un milione di malati di Alzheimer (pag. 81). Questo è il numerone circolante, che si riferisce però a tutti gli affetti dalle varie forme di demenza, di cui solo una parte, sia pure un po’ più della metà, sono Alzheimer. A riprova dell’imperante “alzheimerizzazione della demenza”, funzionale allo stigma. Pensate che le cosiddette UVA (Unità Valutazione Alzheimer, cioè le strutture sanitarie deputate al problema), oggi si chiamano CDCD, cioè Centri per deficit cognitivi e demenze. Insomma, il problema è più largo dell’Alzheimer, e anche se non si guarisce, bisogna curare e prevenire, per quanto possibile. Per riconsiderare lo scenario catastrofico, sarebbe stato utile per gli Autori misurarsi anche con questo dato inaspettato: secondo alcuni autorevoli studi, le demenze crescono meno di quanto ci aspettassimo, perché le malattie cardiocircolatorie sono meglio curate, e perché aumenta la “riserva cognitiva”, cioè - grazie alla maggiore istruzione dei nuovi anziani - il declino parte da un livello più alto. Secondo dato farlocco, gli anziani “fragili” e non autosufficienti sarebbero supportati da “un esercito di 1.600.000 badanti” (sempre pag.81). Peccato che questo dato si riferisca più correttamente a tutti gli addetti ai “servizi alle famiglie” (colf, badanti, baby sitter), come mettono in evidenza due autorevoli esperti, Giselda Rusmini e Sergio Pasquinelli. Le badanti erano 375 mila nel 2015, ultimo dato di fonte INPS. Infine, gli ospizi. Perché utilizzare questo termine, cui gli Autori accostano significativamente un sentimento di “vergogna”, per definire indiscriminatamente tutte le soluzioni residenziali collettive per anziani? Sono veramente e solo una “barbarie”, come ritengono quelle popolazioni africane studiate da Aime, popolazioni ben diversamente rispettose dell’idea di famiglia e dei doveri verso gli anziani (pag. 111)? Ma vorrà pur dire qualche cosa che, nella civilissima provincia di Trento, i posti nelle strutture residenziali per anziani eguagliano quelli di tutto il Lazio (Roma compresa) che ha una popolazione dieci volte più grande? I dati li trovate nel Rapporto Auser su “Domiciliarità e residenzialità per l’invecchiamento attivo” Peccato (veniale?) del libro è infine l’incompleta citazione delle fonti, radunate in una specie di notona bibliografica a fine volume. Ma questa forse è una scelta dell’editore... Diciamo alla fine quello che invece mi ha convinto nel libro. Indubbiamente la vecchiaia è cambiata. Sono spariti i vecchi? Evidentemente no, ma - nel senso di umani decrepiti - certamente se ne vedono di meno in giro. Pensiamo a tre intellettuali che sono mancati recentemente: Eco, Rodotà e Villaggio, morti tutti a 84 anni, un’età superiore alla speranza di vita di un uomo italiano, che in media sfiorerebbe appena gli 80 anni. Eppure tutti abbiamo pensato che se ne sono andati troppo presto, e che sarebbe stato bello condividere con loro ancora qualche anno di riflessioni, di insegnamenti, di discussioni. Cos’è cambiato? Li avremmo definiti “vecchi”? Indubbiamente no, intellettuali sì, i quali accidentalmente avevano quella determinata età, dettaglio in sé poco rilevante. Ma appunto, perché mettiamo sempre fra parentesi questo “dettaglio”? Non sarà che rimuoviamo la cosa più importante, cioè la nostra fine?
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