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Into the wild : nelle terre selvagge

DVD 01 Distribution 2010

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Storia vera del neo-laureato Christopher McCandless che nel 1992, a 22 anni, stanco del consumismo e del benessere fittizio decide di abbandonare la famiglia e le promettenti prospettive di studio e professione, dà in beneficenza tutti i suoi averi e affronta un viaggio senza nessun sostegno né economico né umano che lo porterà nei luoghi piú selvaggi degli Stati Uniti fino a immergersi nell'immensa natura dell'Alaska, che segnerà per sempre la sua esistenza. Quando quattro mesi dopo verrà trovato morto accanto al suo diario grazie al quale verrà ricostruita la sua storia.
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  • 0 / 1 utenti hanno trovato utile questo commento
    08/01/2019
      

    Emozionante

    Film emozionante, dall'inizio alla fine.
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  • 1 / 1 utenti hanno trovato utile questo commento
    02/12/2018
      

    una storia sbagliata

    Il film prende le mosse da un libro di Jon Krakauer del 1996, dedicato alla storia di una singolare figura di homeless: Chris McCandless, laureato alla Emory e morto di inedia a 24 anni nei ghiacci dell’Alaska (1992) dopo aver vagato per due anni a piedi e in autostop negli Stati Uniti. Il ragazzo aveva scelto deliberatamente di provare a vivere da solo “nelle terre selvagge” dell’Alaska e, secondo alcuni, c’era riuscito abbastanza bene per oltre tre mesi. Un avvelenamento alimentare, secondo la versione di Krakauer e di Penn, ha fatto precipitare la situazione fino alla tragedia. Dunque abbiamo tre passaggi essenziali: a) la “vera” storia di Chris McCandless; b) la ricostruzione effettuata da Krakauer; c) l’interpretazione di Sean Penn del libro di Krakauer; Qualunque cosa sia stata inventata o invece “persa” nel corso del lavoro dello scrittore e in quello del regista si deve prendere atto di una cosa: l’America in questi quasi trent'anni dalla morte del ragazzo, ha sviluppato nei confronti di Chris McCandless un vero e proprio culto. Basta digitare su google immagini “Chris McCandless” per veder comparire una serie sterminata di foto, per lo più realizzate da persone andate in pelligrinaggio sul luogo in cui è stato trovato il corpo di Chris. Sui blog si leggono thread infiniti con ovazioni nei confronti del giovane americano. L’aspetto in qualche modo curioso di questo fenomeno è che, a fronte di una ricostruzione sempre più pignola della vicenda di Chris – di cui non si trascura più nulla, dalla ricerca maniacale dei luoghi che ha visitato nei suoi viaggi alle interviste ai suoi colleghi di campus – vengono tuttavia proposti argomenti estremamente generici sia sulla reale personalità di Chris, sia sulle possibili spiegazioni di un culto che sta assumendo dimensioni planetarie. Beninteso: sia il libro che il film sono sotto ogni profilo di grande qualità e possono essere senz’altro considerati, soprattutto in sinergia, all’origine del fenomeno di massa. Ma né il libro né il fim si fanno carico fino in fondo del problema che pure intendono affrontare. Certamente scrittori e registi non sono tenuti a farlo e, nel gioco delle interpretazioni, ognuno si muove come ritiene opportuno. La mia impressione tuttavia, per quel che vale, è che questo dibattito trentennale su McCandless sia per molti versi completamente fuori fuoco. Nel caso del romanzo dell’ottimo Jon Krakauer – che oltre ad essere un celebre scrittore è anche un valente alpinista – tutta la questione è spostata, da un lato, sulla passione americana per la frontiera e le terre selvagge, dall’altro, sulla questione delle reali capacità di McCandless di affrontare condizioni di sopravvivenza estremamente proibitive come quelle dell’Alaska. In buona sostanza Krakauer ha cercato di stabilire un nesso, una relazione, tra la passione diffusa per gli sport pericolosi o “estremi” e la vicenda di Chris. Nel farlo si è opposto fieramente a quanti hanno sostenuto che il ragazzo fosse uno sprovveduto. Secondo Krakauer il giovane McCandless era piuttosto sveglio e solo un episodio sfortunato ha determinato la tragedia. Lascia abbastanza perplessi che a distanza di sedici anni dalla pubblicazione della prima edizione del libro, e nonostante il progressivo dilagare del “culto” per McCandless, il dibattito sembri ancora inchiodato su queste problematiche. Personalmente, sono dell’opinione che il culto per Chris McCandless vada letto come fenomeno spia di un malessere che sta assumendo dimensioni clamorose. Che il ragazzo fosse o meno un bravo boy scout mi sembra del tutto irrilevante. Analogamente, credo che discutere di Jack London e di Thoreau, del mito della frontiera in America e degli sport estremi è solo un sistema per aggirare i nodi più importanti che la vicenda solleva. In realtà il caso McCandeless ci permette di ragionare su delle nuove figure di vagabondo, che hanno ben poco da spartire con lo stereotipo dell’homeless ultracinquantenne, semianalfabeta e alcolizzato.
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