Una tra le presenze più sorprendenti nel poema dantesco è quella degli animali: una presenza continua e variatissima, che si esprime soprattutto nelle similitudini. Si va dalle tre immagini usate in Inferno V per le anime dei lussuriosi, stomi, gru e colombe, e si arriva sino alle api cui sono paragonati gli angeli nell’Empireo (Paradiso XXXI), passando per decine di occorrenze nelle tre cantiche.
[...]
Non bisogna pensare infatti che la similitudine animale svolga esclusivamente una funzione di degradazione bestiale dei dannati, in quanto tali immagini sono frequenti anche nel Purgatorio e perfino nel Paradiso. Del resto, la cultura medievale conosce una vasta letteratura naturalistica: nei bestiari e nelle enciclopedie si elencavano le caratteristiche, reali o immaginarie, degli animali e se ne offriva poi un’interpretazione simbolica, morale e allegorica. Così, le similitudini animali dantesche non sono semplici quadretti naturalistici, come sostenuto a lungo dalla tradizione critica. In esse agiscono invece complesse e rivelatone strategie di costmzione del significato, attraverso l’attivazione dei valori simbolici attribuiti agli animali nella cultura medievale e la ripresa dei riferimenti in diversi punti del poema. Giuseppe Ledda insegna Letteratura italiana all’Università di Bologna. Il suo principale campo di ricerca è costituito dagli studi danteschi e medievali. Si occupa anche di letteratura rinascimentale e del Novecento. Tra le sue pubblicazioni sono i volumi danteschi La guerra della lingua. Ineffabilità, retorica e narrativa nella «Commedia» di Dante, Ravenna, Longo, 2002; Dante, Bologna, Il Mulino, 2008; La Bibbia di Dante, Torino, Claudiana, 2015; Leggere la «Commedia», Bologna, Il Mulino, 2016. È condirettore della rivista «L’Alighieri» e membro del Comitato Direttivo della rivista «Studi Danteschi».