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I sommersi e i salvati

Levi, Primo <1919-1987>

Giulio Einaudi editore 2007

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Riflessione sul carattere problematico dell'esperienza della deportazione nei campi di sterminio. Ripercorrendo la propria vicenda personale, Levi non si limita a rievocare gli orrori del nazifascismo, ma si interroga sui rischi che tali orrori possano ritornare in altri luoghi e sotto altre forme. [...]
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  • 1 / 1 utenti hanno trovato utile questo commento

    Marco Ferri

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    04/02/2022
      

    La storia e la memoria, il racconto e il giudizio.

    “Primo Levi è stato un testimone eccezionale. E un grande scrittore di storia. È assai raro che le due condizioni coincidano”, scrive Walter Barberis in postfazione. Insieme a “Se questo è un uomo” e a “la Tregua”, “I sommersi e i salvati” è come un bisturi che affonda sicuro nella nostra coscienza per rimuove il cancro del nazismo, le cui metastasi non sono ancora state neutralizzate, e che anzi, oltre a disgustose manifestazioni nostalgiche, si trasformano in varianti infette dal negazionismo o dal revisionismo, come ci dice con competenza Donatella Di Cesare in "Se Auschwitz è nulla", edito da Bollati Boringhieri. Nel capitolo “Lettere di tedeschi” viene fuori forte e lancinante quella che Hannah Arendt definì “la banalità del male”, l’azzeramento della capacità umana di pensare, per annullarsi nel conformismo del regime, le cui intenzioni tuttavia erano state chiaramente prospettate da Hitler in “Meinf Kampf”, in cui si teorizzava la fine della democrazia, l’eliminazione fisica degli oppositori politici, lo sterminio degli ebrei, la rapina sistematica dei loro averi, la pratica dell’imperialismo più feroce, la colonizzazione e l’ingorda razzia delle risorse dei paesi europei. Quella domanda che suona come un capo d’accusa forte: “perché non avete fatto niente per impedire tutto questo” è la stessa che sarebbe potuta essere rivolta a noi italiani dopo la tragedia del fascismo, se non fossimo stati riscattati davanti alla Storia e alla coscienza umana con la Resistenza, anche se nostalgici e revisionisti nostrani non mancano. “In pari tempo, vorrei però ricordare che non si tratta di un fenomeno ristretto alla percezione del passato prossimo né delle tragedie storiche: è assai più generale, fa parte di una nostra difficoltà o incapacità di percepire le esperienze altrui, che è tanto più pronunciata quanto più queste sono lontane dalle nostre nel tempo, nello spazio o nella qualità. Tendiamo ad assimilarle a quelle “viciniori”, come se la fame di Auschwitz fosse quella di chi ha saltato un pasto, o se la fuga da Treblinka fosse assimilabile alla fuga da Regina Coeli. È compito dello storico scavalcare questa spaccatura, che è tanto più ampia quanto più tempo è trascorso dagli eventi studiati.” (Cfr. pag. 128). Ecco che leggere Levi è imparare la storia, coltivare la memoria, esercitare la forza del racconto e apprendere la precisione del giudizio.
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  • 3 / 3 utenti hanno trovato utile questo commento
    25/02/2020
      

    Lotta di classe nell'orrore

    La novità di questo testo è la polemica con Amery sulla definizione di "intellettuale". Nei campi chi aveva una formazione non "produttiva", chi non era adatto o abituato alle mansioni manuali aveva ancora meno possibilità di sopravvivenza. Per assurdo era la rivincita di chi, nella società libera, aveva sempre arrancato socialmente: i manovali, i contadini abituati alla zappa. Levi, nella sua identità di intellettuale scientifico, ossia di chimico, è chiamato in causa. Proprio per la sua capacità intellettuale è assegnato in fabbrica, relativamente al sicuro, al coperto, e con cibo sufficiente. Per Amery l'intellettuale sembra non essere chi ha cultura scientifica, adatta alla produzione, e Levi, giustamente, critica questa posizione.
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