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Hotel Silence

Auður Ava Ólafsdóttir

Giulio Einaudi editore 2018

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Jónas ha quarantanove anni e un talento speciale per riparare le cose. La sua vita, però, non è facile da sistemare: ha appena divorziato, la sua ex moglie gli ha rivelato che la loro amatissima figlia in realtà non è sua, e sua madre è smarrita nelle nebbie della demenza. Tutti i suoi punti di riferimento sono svaniti all'improvviso e Jónas non sa più chi è. [...]
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  • 1 / 1 utenti hanno trovato utile questo commento
    24/02/2023
      

    Lezione di vita

    Un libro delicato sul malessere di vivere. Il confronto con una diversa realtà, è con la sofferenza di chi non si arrende servono a riprendere la retta via e dare il giusto peso alla propria realtà.
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  • 6 / 6 utenti hanno trovato utile questo commento
    02/04/2021
      

    ANCORA UN VIAGGIO

    Come in Rosa candida, la Ólafsdóttir ci conduce nuovamente in una terra diversa, lontano dalla natia Islanda. Nel viaggio, che assomiglia a una fuga, del protagonista del romanzo precedente ci conduce però in una terra nordica, non troppo dissimile dal luogo di partenza. Invece Jónas, il protagonista di Hotel Silence, si reca, per mettere fine alla sua vita, in un territorio devastato da una recente guerra, molto dissimile dal suo. Polvere, macerie, violenza, ricordo del sangue che scorre, tanto sangue. Approda in un solitario Hotel, gestito da due giovani e inesperti fratelli, con un solo cambio di abiti, i suoi diari giovanili e la sua cassetta degli attrezzi. Jónas è un uomo che sa fare, che ripara le cose. E piano piano, riparando oggetti e sanando cuori e sofferenze, lentamente dimentica il motivo del suo approdo in quel mondo desolato. E rinasce definitivamente.
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  • 4 / 4 utenti hanno trovato utile questo commento

    Marco Pacchierotti

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    11/05/2019   

    Ovvero, perdere l'identità per ritrovarla

    Cosa ne può mai sapere e capire, una scrittrice islandese, del fuoco di odio e della voglia di vendetta che hanno travolto la ex-Jugoslavia negli anni '90 del XX secolo? Eppure, muovendosi con un'insolita delicatezza, e quasi con poesia tra i fantasmi di un orrore ancora fresco e bruciante, con passo lieve, ma capace di schizzare un mondo deformato e deturpato dalla guerra, la Olafsdottir sa farci vedere e capire "oltre" la superficie dei fatti. L'io narrante è una persona che ha perso la propria identità e che dalla natia Islanda non pensa certo di ritrovarla nell'Hotel Silence, luogo simbolico di chi si perde, definitivamente. Quando si viene messi a confronto con chi è fuggito da una guerra e si viene costretti a capire che nulla di quanto abbiamo (noi, fortunati, che siamo stati risparmiati da un tale abominio) deve essere dato per scontato, tutto cambia. Le priorità cambiano. La nostra visione della nostra stessa condizione muta in modo radicale. Cominciamo a mettere in una prospettiva diversa quello che abbiamo e ciò che siamo. E tutto questo è capace di sciogliere anche l'algida corazza islandese che il protagonista indossava all'inizio del breve, ma intenso romanzo. Brava e mai scontata la Olafsdottir in una "trasferta narrativa" pericolosa, apparentemente lontana dalla sua Islanda, eppure sempre presente e vicina, nel cuore e nella mente, come termine di paragone del vivere e soffrire. Bellissimo e struggente: da leggere e rileggere.
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  • 2 / 3 utenti hanno trovato utile questo commento

    Dario Tramacere

    29/04/2018
      

    Grand Hotel Vita

    Polvere. La polvere che copre vie, palazzi e perfino i panorami di quel Paese appena uscito dalla guerra, col suo tremendo carico di dolore. Polvere, come la vita del protagonista, ciò che sembra essergli rimasto. E polvere come dissolvimento della vita stessa: quel “polvere eri e polvere tornerai ad essere” che lui vede come anticipazione nella malattia di sua madre. Eppure, giunto sul posto dove sino a poco prima la morte ha regnato, il proprio desiderio di annientamento trova un inaspettato ostacolo: il tempo. Tempo per fare cose, per allacciare relazioni nuove e, naturalmente, per fare i conti con sé stesso: “La mia infelicità nel migliore dei casi è un’idiozia, quando rovina e polvere si aprono davanti agli occhi fuori dalla finestra”. E allora, magari, c’è ancora tempo per provare a ricominciare, per lasciare che altra polvere si posi su di noi, sulle nostre opere e perfino sui nostri pensieri, mentre continuiamo nel nostro lavoro di vivere ed impariamo a perdonarci del “fatto di esser nati”.
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