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Cinquecento anni di rabbia : rivolte e mezzi di comunicazione da Gutenberg a Capitol Hill

Filippi, Francesco <1981- >

testo non letterario Bollati Boringhieri <casa editrice> 2024

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In "Cinquecento anni di rabbia" Francesco Filippi discute una tesi affascinante: c'è uno stretto rapporto che intercorre tra le rivolte e i mezzi di comunicazione dal Cinquecento a oggi e senza dubbio quella a cui stiamo assistendo in questi anni è una rivoluzione, di cui noi siamo i protagonisti. [...]
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  • 2 / 2 utenti hanno trovato utile questo commento

    Daniela Bertoglio

    09/02/2025
      

    Lo storico Francesco Filippi in questo saggio analizza come grandi innovazioni tecnologiche legate alla comunicazione, l'invenzione della stampa a caratteri mobili, e Internet, nel momento in cui sono diventate alla portata più o meno di tutti abbiamo facilitato e catalizzato movimenti popolari di protesta. Da un lato le rivolte contadine nella Germania e nel Tirolo nella prima metà del '500, e dall'altra l'assalto a Capitol Hill al momento dell'insediamento del Presidente Biden, il 6 gennaio 2021. Due situazioni diversissime tra loro, ma accomunate dall'avere, alla base, una possibilità di comunicazione che prima non c'era. Ho trovato davvero interessante l'analisi direi antropologica degli Stati Uniti degli ultimi 15 anni, a partire dall'elezione di Barak Obama alla Presidenza.
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  • 3 / 3 utenti hanno trovato utile questo commento
    21/01/2025
      

    Una tesi azzardata

    Secondo l’autore di questo saggio, le rivolte sociali sarebbero favorite in maniera determinante dall’evoluzione degli strumenti di comunicazione di massa. A tale riguardo, egli propone un confronto tra la guerra contadina in Germania e in Tirolo del 1524-1526 e l’assalto a “Capitol Hill” del 6 gennaio 2021 da parte di migliaia di sostenitori di Trump, argomentando che entrambi gli eventi sarebbero il frutto della disponibilità di nuovi strumenti di comunicazione, nel primo caso la stampa a caratteri mobili e nel secondo le reti sociali operanti su internet. In realtà, se è indubbio che mezzi di comunicazione più efficaci semplificano ed accelerano la formazione del dissenso e l’organizzazione di azioni di protesta, i fenomeni sociali vanno esaminati nella loro complessità, senza limitarsi ad un singolo aspetto. Nello specifico, la guerra contadina è stata un insuccesso senza alcun seguito ma la stampa a caratteri mobili ha avuto un’influenza profonda in altri campi attraverso lo sviluppo dell’editoria e dei giornali, come, ad esempio, la riforma protestante e lo sviluppo del pensiero filosofico e scientifico, con le loro ricadute sul piano politico, economico e sociale. Per quanto riguarda l’assalto a “Capitol Hill”, date le cause profonde della crisi politica degli Stati Uniti, non ci sono ragioni per ritenere che non avrebbe potuto aver luogo senza le reti sociali. In fin dei conti, dalla fine del ‘700 in poi, con i precedenti della guerra d’indipendenza americana e della rivoluzione francese, proteste, rivolte, cambi di regime e guerre di liberazione hanno avuto luogo con successo ricorrendo ai consueti mezzi di comunicazione (riunioni, volantinaggio, giornali, libri, e, in seguito, anche la radio e la televisione, come ad esempio, per i movimenti studenteschi del 1968). D’altra parte, volendo enfatizzare il ruolo delle reti sociali, non si capisce il motivo di citare solo l’assalto a “Capitol Hill”. A titolo di esempio, anche le cosiddette primavere arabe del 2011 sono state alimentate dalla propaganda in rete con conseguenze durature in molti paesi, in particolare Tunisia, Libia, Egitto e Siria. Analogamente, vari gruppi terroristici, sull’esempio dell’ISIS, ricorrono anche ad internet per reclutare nuovi aderenti. Infine, lungi dal favorire il dissenso, la rete potrebbe paradossalmente incoraggiare l’omologazione. Al riguardo, con riferimento agli Stati Uniti, l’autore stesso trae delle conclusioni molto amare che contraddicono la tesi che voleva dimostrare: “la rete che si voleva neutra e democratica sta alimentando il populismo autoritario. Il mondo virtuale libero sta più o meno consapevolmente costruendo un mondo reale totalitario” (p.216). Ferme restando le precedenti considerazioni, il libro offre comunque una buona sintesi sulle rivolte contadine del 1524-1526, sul ruolo svolto dall’età moderna in poi dall’editoria e dai giornali nella formazione delle narrazioni dominanti e di quelle dissidenti e sull’attuale crisi politica negli Stati Uniti.
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