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Amianto : una storia operaia

Prunetti, Alberto

Alegre 2014

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Renato è un operaio cresciuto nel dopoguerra che ha iniziato a lavorare a quattordici anni. Un lavoratore che scioglie elettrodi in mille scintille di fuoco a pochi passi da gigantesche cisterne di petrolio. Un uomo che respira zinco, piombo e buona parte della tavola degli elementi di Mendeleev, fino a quando una fibra d'amianto trova la strada verso il torace. [...]
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  • 1 / 1 utenti hanno trovato utile questo commento

    Laura Bazzoni

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    16/09/2021
      

    Operaio ieri,"diversamente operaio"oggi

    Prunetti ambienta la sua storia in una Toscana nota anche ai toscani stessi, tranne a chi abita dalle parti di Piombino/Follonica. Si hanno sempre in mente le dolci colline senesi o del Chianti, le spiagge della Versilia, i cipressi di Bolgheri, i filari di Montalcino. La Toscana dei cliché esiste, io l'ho abitata, ma esistono anche i centri industriali inquinati, non sponsorizzabili dagli uffici turistici. Questa è la storia di Renato, padre dello scrittore, e fa parte della trilogia cosiddetta "working class Hero." (che comprende anche "108 metri.The new working class Hero" e "Nel girone dei bestemmiatori"). L'amarezza di fondo dovuta al tema è costantemente temperata dal potere del ricordo e dell'affetto, che sa trasferire su carta l'indole umana di tutti i personaggi, la leggerezza inconsapevole, il pungente spirito critico, la battuta salace in dialetto livornese. Si dipana a partire dagli anni del boom economico, alternando sapidi quadretti familiari a scene realistiche di lavoro di quel periodo. Il padre è un operaio saldatore/tubista specializzato, trasfertista. Gira l'Italia a saldare cisterne, che per una sola scintilla possono saltare in aria. Si protegge con tute e coperte di amianto, materiale ignifugo ma altamente cancerogeno. All'epoca non c'era molta consapevolezza sui temi della salute dei lavoratori, e quando questa consapevolezza arriva, viene puntualmente boicottata. Oggi sappiamo le relazioni tra l'aver respirato per anni "tutti gli elementi della tavola di Mendelev"e lo sviluppo di tumori, ma poco sembra cambiato, in termini di tutela di lavoratori e cittadini (penso all'Ilva di Taranto, dove anche il protagonista aveva lavorato). L'intero romanzo mostra Renato nella veste di padre, pronto allo scherzo, o insieme al figlio mentre gli insegna a riparare qualche oggetto, e in quella di operaio, orgoglioso della sua specializzazione e del suo saper fare con le mani. Per lui le attività intellettuali, quelle di chi sta seduto ad una scrivania, non sono vero lavoro. E tuttavia fa studiare i figli, perché si rende conto ad un certo punto che il lavoro di cui è tanto orgoglioso l'ha fregato, l'ha sfruttato con il miraggio di uno stipendio leggermente superiore agli altri operai e gli ha rubato la salute. La conclusione del figlio è amara. C'è la frustrazione dovuta alla difficoltà della battaglia legale, per fare riconoscere al padre la malattia di lavoro: dover ripercorrere tutte le volte lo strazio della progressione del tumore, per ottenere il riconoscimento infimo di un danno e di una beffa. C'è poi la precarietà del suo lavoro intellettuale, che non fa rischiare la vita ma nemmeno permette di prendere un mutuo. Nonostante il tema, attuale e tragico, delle morti per causa di lavoro, la trama intreccia numerosi momenti di leggerezza e una godibile ironia tipica delle terre labroniche da cui il padre proveniva (Rosignano Solvay). Molto interessante anche la postfazione: un dialogo a tre tra l'autore, Wu ming1 e Girolamo Di Michele, che analizzano come il mondo capitalista sia passato dallo sfruttamento dell'operaio a quello del popolo delle partite Iva, laureati specializzati ma eternamente precari e, in fondo, "diversamente operai". E di come la precarizzazione, diventata condizione esistenziale, abbia finito per estendersi a tutti gli aspetti della vita emotiva e relazionale delle persone.
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  • 1 / 1 utenti hanno trovato utile questo commento
    15/05/2019
      

    Indispensabile

    Con coraggio e lucidità l’autore racconta la storia di suo padre, Renato Prunetti, operaio saldatore tubista. Una vita trascorsa tra raffinerie ed acciaierie, tra maschere da saldatore e teloni di amianto, sostanze chimiche e polveri di metalli pesanti, trasferte nei principali siti petrolchimici e siderurgici italiani, con tute sporche riportate a casa nel fine settimana e treni notturni ripresi la domenica notte. Un lavoro che svolge con orgoglio e che gli permette di metter su casa e far studiare i suoi figli. La malattia si sviluppa dopo il pensionamento e lo conduce alla morte a soli 59 anni. La famiglia vince la causa per il riconoscimento di esposizione all’amianto (70 euro in più sulla pensione di reversibilità della vedova) e l’autore si chiede: “Giustizia è fatta? No, non è mai fatta. Giustizia è non morire sul lavoro, è non veder morire i propri colleghi. Senza dover morire ”. Tra tutte le emozioni che la lettura di questo libro suscita, e sono tante, la rabbia è quella più forte perché è la storia dei tanti, troppi Renati, di una generazione di lavoratori esposti a sostanze nocive senza le dovute misure di sicurezza, “una sola fibra di amianto e tra venti anni sei morto”. Nell'appendice “Il triello”, l’autore discute del libro con Girolamo De Michele e Wu Ming 1, anche loro figli della classe operaia, provenienti da zone di nocività e alta mortalità operaia. Confrontando le storie dei loro padri operai con le proprie, affrontano temi quali il precariato, in particolare quello intellettuale (insegnamento, traduzioni, giornalismo, ghost writing, ecc.), la nocività del lavoro e le responsabilità delle morti bianche, lo sfruttamento e la mancanza di tutele nel mondo del lavoro, il senso di precarietà e l’impossibilità di progettare una vita per i lavoratori precari di oggi.
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  • 1 / 1 utenti hanno trovato utile questo commento
    29/01/2019
      

    Da leggere assolutamente

    Ecco, questo libro è tutto fuorché sensazionalistico. Scritto molto bene, con la consueta ironia toscana, a tratti comico, ma con una vena di serietà che pervade tutto il testo. L'argomento è serissimo e trattarlo con questa delicatezza non è da tutti.
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