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2 / 2 utenti hanno trovato utile questo commento10/11/2024Erika Fatland è un'antropologa norvegese, che per la sua tesi di specializzazione in antropologia sociale è andata a Beslan, nell'Ossezia del nord, per studiare come la comunità di questa cittadina ha reagito negli anni successivi alla drammatica strage nella scuola n°1, nella quale, tra il 1* ed il 3 settembre 2004 furono ammazzate 300 persone, circa, 186 dei quali erano bambini. Un gruppo di una trentina (ma secondo alcuni erano molti di più) di terroristi ceceni e inguscezi aveva fatto irruzione nella scuola all'apertura dell'anno scolastico, tenendo in ostaggio più o meno 1200 persone, molte delle quali furono ferite o ammazzate quando le forze speciali russe fecero irruzione nella scuola, dopo 3 giorni. Praticamente tutti gli abitanti di Beslan hanno avuto un familiare ammazzato, ferito o sopravvissuto alla strage. Erika Fatland scrive molto bene, il racconto dei suoi incontri con le madri che si recano tutti i giorni al cimitero a parlare con i bambini morti, si alterna alle pagine di diario dove elenca tutte le difficoltà del suo lavoro sul campo, in un paese nel quale gli stranieri sono costretti a muoversi con una scorta armata. Parla con le donne, che vanno in giro vestite come le moscovite, niente veli o vestiti lunghi, però sono comunque relegate in casa, con i mariti che devono seguire le regole ancestrali dell'onore e hanno il ruolo di difensore della famiglia, ma al momento della strage non erano a scuola, e non hanno potuto fare nulla. Madri impazzite per il dolore, che hanno accusato la direttrice e gli altri dipendenti della scuola sopravvissuti di essere complici dei terroristi, un'isteria collettiva di persone alla ricerca di un capro espiatorio, perché accusare chi ha gestito così male le trattative e poi l'assalto è proibito, ed è più semplice prendersela con chi vive a Beslan che con chi sta al Cremlino. Al primo soggiorno, come volontaria della CRI, ne seguono altri, negli anni successivi al 2007, non più come volontaria ma in incognito, con un visto turistico, quindi senza guardie del corpo, e Erika Fatland si rende conto che di cambiamenti ce ne sono stati pochi, a Beslan, ma le persone stanno ricominciando a vivere, o almeno ci provano. E' un libro-inchiesta scritto benissimo, che coinvolge il lettore nelle storie e nel dolore dei sopravvissuti.Hai trovato utile questo commento?
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