La mattina del 19 luglio 1992 Paolo Borsellino si era alzato presto e, per la prima volta dopo tre mesi, s'era imposto di non lavorare.
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Prima di uscire di casa aveva scritto la risposta a una lettera ricevuta mesi prima da un liceo di Padova, in cui i ragazzi lo rimproveravano di non aver presenziato a un convegno sulla mafia e gli ponevano alcune domande sul suo lavoro e sulla criminalità organizzata. Nella lettera il giudice racconta ai ragazzi del momento che sta vivendo e con consapevolezza e trasparenza risponde alle domande, pur con poco tempo a disposizione: perché è diventato magistrato? qual è la differenza tra mafia e camorra? quali sono gli organismi che le combattono? Alcune di quelle domande sono rimaste senza risposta, ma la lettera, rinvenuta sul suo scrittoio e resa pubblica dalla famiglia, è la testimonianza straordinaria di quel momento storico e di chi fosse nel profondo Paolo Borsellino. Il v. ora, partendo da questi documenti, ripercorre un pezzo di storia italiana, descrive le figure di Falcone e Borsellino, attraverso la voce dell'uomo che ha lavorato del tempo accanto ad entrambi e scopriamo, così, chi fossero realmente oltre lo stereotipo di 'eroi': indubbia testimonianza civile per le nuove generazioni. Nessuno dei giovani che Pietro Grasso incontra oggi quando racconta alle platee di ragazzi la propria esperienza di lotta alla mafia era nato, quando Falcone e Borsellino furono assassinati, ma tutti oggi sanno chi sono e riconoscono nei due giudici un esempio da seguire.