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15/03/2025
"Quando Mastro Titta passa ponte, 'na capoccia sta pe' esse' tajata!"
Questa frase ricorse spesso nella lunghissima carriera di Giovan Battista Bugatti, er boia de Roma e dello Stato Pontificio, nato nel 1779 a Senigallia e morto nel 1869, alla veneranda età di 90 anni Chi conobbe Mastro Titta, il boia della Roma papalina dell'800, lo descrisse come un uomo bonario, educato, perfino disposto a fare coraggio alle sue vittime, ma fermamente deciso a compiere il suo dovere. Solitario, cupo ed assai popolare, si aggirava per i borghi fra il terrore di chi lo riconosceva, visto che le condanne a morte affibbiate da un ambiguo governo papale costituivano sempre un enorme festante richiamo per grandi masse di popolo. La macabra lista di Giambattista Bugatti si fermò nel 1864, dopo ben 516 giustizie. La maggior parte delle esecuzioni pubbliche, realizzate secondo la procedura seguita da Mastro Titta, risultano ancora presenti in sette paesi: Iran Iraq Repubblica Popolare Cinese Corea del Nord Arabia Saudita Yemen Negli Stati Uniti d'America, ormai solo un ridotto numero di stati comprende ancora nella propria Costituzione la pena capitale, in primis il Texas. Visse sempre in una casa del rione Borgo, in Vicolo del Campanile 4, dietro la chiesa di Santa Maria in Traspontina. Si calcola che nei 68 anni di servizio, eseguì ben 516 esecuzioni o giustizia, come venivano chiamate, al servizio del potere temporale che, alla faccia del Vangelo, perdonava poco e puniva molto. La giustizia pontificia, un misto tra codice civile e religioso, troppo intransigente con il popolo quanto tollerante con la nobiltà, dalla quale oltretutto provenivano giudici e capo della polizia, non costituisce certo un esempio di vera giustizia. Spesso e volentieri si affibbiavano condanne a morte senza processo e senza prove. Solo nei giorni in cui venivano eseguite le esecuzioni, il "maestro di giustizia", non prima di essersi confessato e comunicato, passava ponte, cioè si recava dall'altra parte del Tevere, fino alla piazzetta che si trova tutt'oggi all'estremità del ponte di Castel Sant'Angelo, oggi Piazza di Ponte Sant'Angelo. C'era anche Piazza del Popolo, dove il palco delle pubbliche esecuzioni veniva allestito proprio sotto il Pincio; la folla correva a frotte e lo spettacolo cominciava, perché in quei tempi e non soltanto quelli, la ferocia era considerata il sollazzo del popolo, perfino con risvolti educativi. I padri recavano con sé i loro figli maschi, e nell'istante in cui la lama recideva la testa del condannato, come monito gli ammollava un sonoro sganassone, perché si ricordassero qual'era la fine che facevano i mascalzoni. A morire per mano di un potere tirannico e crudele non furono però soltanto i mascalzoni, come testimonia ancora oggi la targa che si trova a Piazza del Popolo, dedicata ai due Carbonari cesenati Angelo Targhini e Leonida Montanari, ivi giustiziati il 23 novembre 1825. Bugatti Aveva anche un lavoro ufficiale e una bottega, presso la quale riverniciava gli ombrelli. si considerava un buon cristiano, che operava per volere di Dio e della chiesa, in maniera meticolosa, precisa e asettica. Difatti nelle rare raffigurazioni dell'epoca viene sempre ritratto senza alcuna emozione in volto, sia questa di commiserazione o sadismo. Come spesso accade a chi esegue lavori a dir poco orribili, il nostro Titta venne ricordato nella vita privata come una persona tranquilla e mansueta, un essere umano sobrio e decoroso. Il 17 agosto 1864, alla veneranda età di 85 anni, sempre in via dei Cerchi eseguì la sua ultima decapitazione, vittima un certo Domenico Antonio Demartini, pluri omicida. Lo Stato Pontificio decise di assegnargli una pensione mensile di trenta scudi per i servizi resi in tanti anni. Grazie ad un editore piuttosto furbo e lungimirante, con l'aiuto di un ignoto scrittore, ci ha lasciato una bella biografia, la quale contribuì non poco a farne una leggenda.Hai trovato utile questo commento?SI NO | Segnala come inappropriato