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1 / 2 utenti hanno trovato utile questo commento04/04/2025
meraviglioso!
L’eleganza della scrittura unito all’originalità della narrazione rendono questo libro davvero interessante e intenso. La caratterizzazione dei personaggi è ai limiti della perfezione.Hai trovato utile questo commento?SI NO | Segnala come inappropriato -
1 / 1 utenti hanno trovato utile questo commento30/12/2024
In spagnolo acabar significa terminare..
I fillus de anima sono i bambini che i genitori hanno dato ad altre persone per farli crescere. In genere figli di famiglie povere e numerose, cresciuti da famiglie più benestanti, o non in grado di avere figli. Maria è una di questi, ultima di quattro figlie, non gode di alcuna considerazione da parte della madre. "Sua madre, Anna Teresa Listru, donna affascinata dalle numerazioni in qualunque forma le si presentino, non l'ha abituata a nient'altro che a vedersi in sequenza con le sue sorelle, secondo una formula di rito sempre identica: "E chi è questa bella bambina?" "E' l'ultima" Oppure, semplicemente: "E' la quarta". Così forte era l'impronta da classifica di corsa campestre, che nei primi tempi Maria si era dovuta mordere la lingua per non presentarsi a sua volta così." Maria viene adottata dalla zitella Tzi Bonaria, in perenne lutto per il fidanzato morto in guerra ("eroe" è il maschile singolare della parola "vedove"). La donna ne intuisce la pena, sa che la madre se ne libererà facilmente ("Bonaria si era dedicata sin da giovane alla sartoria, perché, se c'era una cosa che sapeva fare bene, era prendere le misure alla gente"), e con Maria colma anch'essa il vuoto della sua solitudine. Bonaria la fa sentire importante per la prima volta nella sua vita, e dimostra una particolare sensibilità nel gestire il rapporto con la bambina e con i pettegolezzi del paese alla notizia di questa adozione. All' insaputa della figlioccia, Bonaria è Accabadora, ovvero colei che procura la morte ai moribondi le cui sofferenze siano diventate ormai intollerabili. Bonaria lo ritiene un servizio di pietà che rende alla comunità, e lo pratica solo su espressa richiesta del moribondo. I servizi di Bonaria vengono però ricercati anche da Nicola, un giovane, che, a causa di un gesto di vendetta, ha perso la gamba, e non riesce più a vedere per sé una prospettiva di vita. "Come gli occhi della civetta, ci sono pensieri che non sopportano la luce piena. Non possono nascere che di notte, dove la loro funzione è la stessa della luna, necessaria a smuovere maree di senso in qualche invisibile altrove dell'anima". La scelta di Bonaria scatena una serie di eventi imprevisti, e una svolta nel rapporto con Maria, che si interrompe bruscamente con la partenza della figlioccia per Torino. " Cercava invano di dominare il vuoto del tradimento subito, che le sembrava sì affine alla morte, ma senza la consolazione di poter vegliare una spoglia cara, e nessuna sepoltura per dare confini di terra al pianto che la soffocava. Aveva vissuto per anni con Bonaria convinta di essere andata a pareggio con le sue due nascite, una sbagliata e però anche una giusta,ma ora i conti le apparivano pieni di errori e cancellature, lasciandola ancora una volta fuori, come un resto avanzato. Ma Maria tornerà a colmare il suo debito di riconoscenza, accompagnando la vecchia Bonaria negli ultimi mesi della sua agonia. "Non dire mai: io di quest'acqua non ne bevo. Potresti trovarti nella tinozza senza manco sapere come ci sei entrata". La saggezza delle parole della vecchia, l'impeto della gioventù, ma anche lo spirito di osservazione di chi è abituato a non essere considerato, e può permettersi di vedere tutto, la capacità di accettazione della vita e della morte, la consapevolezza che, nella vita, c'è spesso chi decide al posto tuo, dalla nascita alla morte. Talora questa decisione è un atto di amore.Hai trovato utile questo commento?SI NO | Segnala come inappropriato -
5 / 5 utenti hanno trovato utile questo commento10/11/2023
Vivere e morire nella pace
È potente la figura di Bonaria Urrai, la vecchia sarta alla quale è stato affidato il compito di porre fine, con dignità, alla vita degli abitanti del piccolo paese di Soreni. Per portarlo a termine la sarta, anzi: la madre, perché è come madre che Bonaria Urrai agisce, si avvale di una ciotola di erbe fumanti, per intontire, e di un cuscino per soffocare l’ultimo respiro. Michela Murgia, con una scrittura asciutta, scarnificata quasi, descrive la vita e le vite dei personaggi che si muovono, si intrecciano, nel piccolo paese di Soreni, metafora di un mondo più grande nel quale il lettore non ha alcuna difficoltà a immergersi perché lo sente suo. Maria Listru, la voce narrante di questo piccolo libro, l’errore di Anna Teresa Listru, la madre carnale, viene accolta come una figlia dalla sarta che non ha figli. Questo scambio, una donna già matura, ma senza figli, che prende con sé la figlia di altri, è di una modernità unica. Nessuno nel piccolo paese di Soreni è lasciato solo. Nel paese di Soreni anche ai morti viene lasciata aperta la porta di casa, e sulla tavola c’è sempre del cibo per loro, perché i vivi sentono l’urgenza di poter parlare con loro, di accoglierli in casa. Non è singolare, quindi, che Nicola Bastíu, con una gamba amputata, chieda proprio a Bonaria Urrai, l’accabadora, e non al prete, così inadeguato, poveretto, di essere liberato da una vita senza uno scopo, ormai. Eppure, questo piccolo romanzo è anche una coinvolgente storia d’amore tra Maria Listru e Andría, il fratello di Nicola. Ed è con loro due abbracciati, dopo essersi di nuovo ritrovati, che si chiude il libro. Il libro, infatti, è un libro stracolmo di vita. Di vita piena. Di vita vissuta. Le ultime pagine del libro descrivono la lotta di Bonaria Urrai, in coma, ma attaccata con un sottilissimo filo d’acciaio alla vita. Non riesce a morire fino a quando Andría Bastíu non la viene a trovare e a raccontarle ciò che ha visto quella sera nella quale è morto il fratello. Solo dopo, quando tutto è stato chiarito e compreso, Bonaria Urrai può morire rendendo inutile il gesto di Maria Listru. Come dicevo all’inizio è potente la figura di Bonaria Urrai il cui compito è quello di spegnere nella pace la vita degli altri. E anche la propria, quindi.Hai trovato utile questo commento?SI NO | Segnala come inappropriato -
4 / 4 utenti hanno trovato utile questo commento26/02/2023
Il velo tra la morte e la vita
Esiste un velo. Esiste un sottile velo che separa la vita e la morte. Esiste un confine labile tra queste due dimensioni, tra questi due mondi. Ecco, questo libro è scritto in modo da porsi sul confine tra questi due mondi. L'Accabadora è proprio colei che accompagna le persone alla morte, quando la vita non può più essere considerata tale. Il libro richiama atmosfere misteriose e magiche. In un piccolo villaggio sardo, la vecchia sarta Tzia Bonaria , conosciuta come L'Accabadora, vive la sua silenziosa vita in solitudine, finché non adotta una bambina Maria. Si instaura un intenso e profondo legame tra le due . Ma crescendo Maria dovrà scontrarsi con la funzione di sua madre in questo piccolo mondo. Riuscirà ad accettarla? Leggendo il libro mi sono chiesta molte cose riguardo l'esistenza dell'Accabadora. Una figura che arriva a dare pace quando la vita è diventata dolore. È un velo quello che separa i vivi dai morti. Mi chiedo quando sia giusto togliere questo velo. L'Accabadora si ritiene una madre, colei che interviene e sceglie per la vita degli altri. Colei che dà pace. Naturalmente non è provata l'esistenza di una figura come questa, ma se anche fosse esistita probabilmente resterebbe nel mistero , vista la sua funzione. Un libro che si legge in un giorno. Una storia singolare con tratti gotici ,che a me è piaciuta molto. Lo consiglio. Simona StefanelliHai trovato utile questo commento?SI NO | Segnala come inappropriato -
4 / 4 utenti hanno trovato utile questo commento26/02/2020
Accabadora e Arminuta: due storie di ieri al femminile
Accabadora, colei che finisce; L'arminuta, colei che ritorna. Due titoli di romanzi. Due scrittrici, Michela Murgia e Donatella Pietrantonio. Due titoli dialettali ci introducono in atmosfere lontane e società arcaiche dai costumi desueti, in Sardegna e in Abruzzo di metà Novecento. Due copertine, ognuna reca l'immagine di una adolescente: Maria, la "figlia dell'anima" di Bonaria, affidatale dalla madre indigente e che la segue nelle campagne sarde degli anni Cinquanta dove va a dare fine pietosa ai malati terminali; e l'Arminuta, la ragazza senza un nome, anche lei affidata dalla madre indigente (la mamma del paese) a un'altra donna (la mamma del mare), che però gliela restituisce bruscamente all'età di tredici anni. Due Premi Campiello, nel 2009 e nel 2017. Due libri da leggere.Hai trovato utile questo commento?SI NO | Segnala come inappropriato -
42 / 42 utenti hanno trovato utile questo commento26/02/2020
"... la ragazza cominciò a comprendere cosa intendeva Bonaria Urrai tre anni prima quando ...
... le aveva detto: "Non dire mai: di quest'acqua io non ne bevo". (P.152 ). Un romanzo intenso che ritrae, attraverso la storia delle due protagoniste, la giovane Maria e l'anziana Tzia Bonaria, ( l'una figlia adottiva dell'altra ) la società arcaica e ricca di tradizioni, talora anche spietate, ben radicate nella Sardegna degli anni Cinquanta. La trama si svolge quasi esclusivamente in un paesino dell'entroterra, incastonato in una natura la cui asprezza incontaminata è simile al proprio contesto antropologico. Qui regole comportamentali e codici non scritti, trasmessi in dote da una generazione all'altra da tempo immemorabile e avvalorati dalla prassi condivisa, non ammettono eccezioni né violazioni; l'appartenenza e la fedeltà ad una cultura, ancestrale per certi aspetti, è percepita come garanzia inalienabile dell'identità locale. L'intera vicenda, che oltre al rapporto madre-figlia, abbraccia situazioni, persone e "riti" ( sacri e profani ) specifici di un'intera comunità rurale, assume valore molto più ampio soprattutto grazie a certi dialoghi che, mettendo a nudo l'anima dei personaggi nonché le divergenze generazionali, risultano particolarmente incisivi dal punto di vista emotivo. Il grande merito dell'intera narrazione, ( opera originale della scrittrice ma ricalcata verosimilmente su fatti storici documentati ) rimane soprattutto legato al delicato tema, ancora attualissimo e dibattuto, dell'eutanasia: Michela Murgia è riuscita non solo a coinvolgere i lettori - senza ricorrere peraltro ad inutili patetismi - ma soprattutto a proiettare fuori dal romanzo ( pubblicato nel 2009 ) i temi civili che riguardano da una parte le responsabilità etico-morali di chi deve decidere e, dall'altra, la volontà e la dignità di chi si trova, irreversibilmente, in fin di vita.Hai trovato utile questo commento?SI NO | Segnala come inappropriato -
5 / 5 utenti hanno trovato utile questo commento28/10/2018
Pietà o colpa?
Mi accosto a questo romanzo su suggerimento di un gruppo di lettori e scopro per la prima volta Michela Murgia. Fin da subito il libro mi affascina perché ambientato in Sardegna, regione per la quale ho un debole, non solo per le bellezze paesaggistiche quanto per il valore delle tradizioni che rimangono vive a rimandare immagini, suoni e sapori di antico. La lettura risulta quindi piacevole proprio per quel canto secolare che un’isola è capace ancora di far echeggiare. Bonaria è la madre adottiva di Maria: “nata due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un’altra” (cit.), ceduta dalla sua famiglia in adozione come “figlia dell’anima”, ma è anche l’accabadora (colei che porta a termine le vite prossime ormai alla fine) che svolge la sua attività come un angelo della morte, comparendo di notte nelle case di chi ne ha richiesto “l’aiuto”. Una figura stregonesca che agisce in nome di un senso di umanità e di giustizia terrena. L’autrice si muove tra tematiche importanti: l’adozione e l’eutanasia, ma lo fa sfiorandole, senza approfondirne il risvolto etico e culturale. Per questo motivo trovo che il libro sia leggibile perché lascia aperta la riflessione ma in forma privata; andare oltre avrebbe significato entrare nel merito di un giudizio troppo complesso che avrebbe spostato il baricentro sul dibattito filosofico-giuridico-morale. Il racconto rimane invece saggiamente ancorato all’evocazione di atmosfere arcaiche attraverso queste due realtà, in cui ci fa immergere, presentate come opportunità per sanare, rimediare al male o all’insufficienza della condizione umana. Si tratta in ciascun caso di una scelta di sacrificio e di amore che esula dall’egoismo. Cedere un figlio in adozione come “figlio dell’anima” perché abbia una vita migliore, poco ha a che vedere con una convenienza personale: sono in gioco gli affetti ed i sentimenti di due madri (quella naturale e quella adottiva). Così come aiutare un proprio caro ad andarsene, per sottrarlo ad un inutile giogo di sofferenza, si richiama all’amore più coraggioso. Forse è questo quello che il libro vuole lasciare: scorgere nella scelta del distacco un gesto di profonda umana comprensione di dolore e di amore che va ben oltre l’atto compiuto: “Vuoi giudicare del come senza capire il perché?” (cit.) Lo stile narrativo è essenziale e diretto e lo sviluppo dei fatti concorre all’originalità della trama. Forse la nota un po’ dissonante è la parentesi torinese: il temporaneo allontanamento di Maria, la figlia dell’anima, dalla sua Sardegna. Ormai abituati alla lentezza ed alla musicale cadenza del racconto epico, il salto nella modernità cittadina ci appare come un passaggio fin troppo brusco. Nel complesso è un libro garbato, potente, intenso, amaro, attuale. Da leggere.Hai trovato utile questo commento?SI NO | Segnala come inappropriato