Tradurre in italiano i contratti redatti in inglese è difficile. La struttura dei documenti è diversa da quella cui siamo abituati, i concetti ricorrenti sono spesso privi di corrispondenti esatti nella nostra lingua giuridica. La prassi però richiede sempre più che ci si confronti con schemi e modelli di matrice anglofona.
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Questo volume nasce dal desiderio di predisporre qualche strumento per affrontare il compito. Un primo tentativo di chiarimento dovrebbe almeno consentire di schivare le trappole più insidiose. Si è così selezionato un campionario di termini-spia, o di espressioni fuorviane, che gli studenti (ma non solo) confondono con più frequenza con parole o espressioni assonanti dell'italiano, per mettere sull'avviso circa i trabocchetti che attendono il lettore di testi contrattuali provenienti dal mondo di common law. Diagnosticare il difetto è certo più facile che prescrivere una cura, ma si può provare a fare qualche proposta. Giuristi che sperimentano in prima linea le difficoltà di adattamento ad altri ambienti di documenti concepiti in inglese aiutano a riflettere sul tema; linguisti che si misurano con il diritto consigliano alcune cautele. Un esperimento, dunque, per guardare al problema da diverse prospettive, e aprire le porte a progetti più ampi. La lingua del diritto conosce molti stili: il volume offre qualche esempio illustrativo, tratto da decisioni rese da giudici illustri appartenenti al mondo anglofono.
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