Questa trilogia si colloca fra le opere più tarde, quelle in cui Pirandello svolge, in modi imprevedibili, la sua personale mitologia della "rinascita".
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Lontani ormai dal meccanismo teatrale dei "Se personaggi", dal continuo scambio fra realtà e finzione del "teatro nel teatro", questi miti (come Pirandello stesso li chiama) si pongono come forme di teatro epico-collettivo: i tre piani simbolici della fede (Lazzaro), dell'utopia sociale (La nuova colonia) e dell'arte (l'incompiuto I giganti della montagna) esprimono un'unica volontà di far uscire il dramma dal circuito individuale del personaggio e di strappare all'azione scenica, attraverso la catarsi nell'immaginario e nel simbolismo universale, messaggi di valore generale e conclusivo.