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14/02/2022
Il filosofo a lungo prestato alla politica.
A conclusione di questo secondo volume di scritti politici, Benedetto Croce “rassegna le dimissioni” dalla politica attiva, lascia il suo incarico nel Partito liberale, e dice di voler tornare ai suoi studi. La parentesi politica di Croce è stata lunga, iniziò come ministro dell’Istruzione nel governo Giolitti nel 1920, proseguì come senatore del Regno e si conclude, volontariamente, nel 1947, dopo un incarico come sottosegretario nel breve governo Bonomi. Venticinque anni d’impegno politico attivo sono tanti, furono anni importanti, perché contennero l’intero periodo del regime fascista. Come è noto, Croce è stato un filosofo neoidealista, la qual cosa ha influito sulla sua visione politica. Per esempio: “Penso che il fascismo non fu escogitato né voluto da alcuna singola classe sociale, né da una singola di queste sostenuto. Fu uno smarrimento di coscienza, una depressione civile e un’ubriacatura, prodotta dalla guerra, che si avvertì in quasi tutti i popoli che vi avevano partecipato, e in Italia, ma non solo, in Italia, ebbe il sopravvento effettivo mercé di illusioni e di inganni e di minacce. La classe operaia l’accettò, non più certamente, ma non meno delle altre tutte, depose l’arma potente che aveva dello sciopero e lasciò che il capo del novo regime si presentasse e si aggirasse sicuro, e spesso tra applausi, perfino in ambienti di spiccato carattere operaio.” (Cfr. pag.361). Strana dimenticanza del “biennio rosso” e della feroce repressione che proprio il governo Giolitti, cui Croce fu ministro e del ruolo di feroce repressione fascista delle Camere del lavoro e delle Leghe contadine. A testimonianza del fatto che si cerchi in qualche modo di nascondere quanto il governo liberale risultò imbelle nei confronti dell’avvento del fascismo. Anche sull’analisi della composizione sociale del paese, Croce ha una visione “idealistica”, “ …esso (il ceto medio) non è una classe economica, ma una formazione morale e politica, il suo fondamento perciò è etico-politico. In quel ceto si entra da tutte le classi economiche, perché l’entrarvi è un sollevarsi sopra le particolarità di quelle classi e giudicare e operare per il bene pubblico e comune.” (Cfr. pag.358). L’analisi storica condivisa è di ben altro avviso sulla partecipazione al fascismo del ceto medio. Nel 1947 vengono date alle stampe le “Lettere dal carcere” di Antonio Gramsci. E qui sembra che Croce abbia un moto di consapevolezza sul ruolo della politica, che aveva definito, invece: “La politica è politica, e non si qualifica come morale o o immorale, ma unicamente come utile o dannosa” (Cfr. pag. 425). A commento delle “Lettera dal carcere”, scrive: “…come uomo di pensiero egli fu uno dei nostri, di quelli che nei primi decenni del secolo in Italia attesero a formarsi una mente filosofica e storica adeguata ai problemi del presente…(Cfr. pag. 415). E ancora: “Nel leggere i suoi molti giudizi su uomini e libri, mi è accaduto di accettarli quasi tutti o ferse addirittura tutti. Certo c’era verso di me un dissenso in un punto teorico importante che si legava in lui alla sua fede e azione di comunista.” (Cfr. pag.416). Togliatti darà alle stampe “I quaderni dal carcere” tra il 1948 e il 1950. Sono gli ultimi anni di vita di Croce. Sarebbe stato molto interessante un confronto diretto tra lui e Gramsci che di lui e le sue idee a lungo parla nei quaderni.Hai trovato utile questo commento?SI NO | Segnala come inappropriato