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Una biblioteca per Tullio De Mauro. La lingua e la lettura come missione

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Una biblioteca per Tullio De Mauro. La lingua e la lettura come missione

27 ottobre - 10 novembre 2017

Intervento di Paolo Fallai

 

 di Paolo Fallai

 

Noi siamo le parole che usiamo.

Le parole che colorano le nostre emozioni, dipingono i nostri ricordi, sostengono le nostre riflessioni. Quante volte ce l’ha ripetuto Tullio de Mauro invitandoci a una maggiore attenzione e a un maggior rispetto proprio nei confronti delle tante parole che usiamo con leggerezza. Oggi siamo qui per intitolare al suo nome un piccolo tempio delle parole, perché rimanesse una traccia tangibile del debito che abbiamo nei suoi confronti. Forse avremmo potuto scegliere una biblioteca più grande, oppure una più importante. Ma è stata la prima decisione del Consiglio di amministrazione che presiedo, appena insediato nel marzo scorso, ed è stata unanime: volevamo farlo subito e quanto il secondo municipio ci ha chiesto di intitolare a de Mauro villa Mercede abbiamo pensato che aveva ragione: in questo municipio abitava, a poche centinaia di metri da qui c’è quella università cui ha dedicato tutta la vita.

 

Noi siamo le parole che usiamo. E io oggi non voglio usare parole scontate o formali ricordare Tullio de Mauro. Quando avuto l’occasione di ricordare la sua figura sul Corriere della sera, ho scritto che sembrava un alieno in questa Roma un po’ cialtrona e sguaiata e che non alzava mai la voce. Ma ce ne diceva di cose importanti, eccome. E spesso non erano carezze, erano schiaffi. Queste sono le parole di De Mauro che voglio ricordare.

 

A noi piace ricordarlo come primo presidente dell’istituzione biblioteche di Roma, appena nata, nel 1996. Ruolo cruciale e difficilissimo per guidare un progetto ambizioso tra le strettoie burocratiche della pubblica amministrazione tanto che appena un anno dopo fu lo stesso De Mauro a dimettersi, convinto che una scossa forte potesse aiutare la nascente Istituzione a trovare la personalità che ha tuttora, spalancando di fatto le porte per l’arrivo a Roma del presidente dei bibliotecari italiani, Igino Poggiali.

Ci ricordava spesso che le biblioteche territoriali locali sono una rete buona solo in alcune regioni e mancano o funzionano assai male in troppe regioni e città. E non risparmiava critiche alla Capitale ricordando che nelle metropoli più evolute c’è una biblioteca pubblica ogni 600 metri. Pensate quanto siamo lontani.

Ci faceva riflettere su quanto siano poche le librerie vere, che non siano cioè cartolibrerie e smerci di testi scolastici. E che le famiglie con una discreta minima dotazione di libri sono meno di un quarto.

Dalla Storia linguistica dell’Italia unita del 1963, ha raccolto dati sull’analfabetismo strumentale (totale incapacità di decifrare uno scritto) e funzionale (incapacità di passare dalla decifrazione e faticosa lettura alla comprensione di un testo anche semplice) e ha cercato di richiamare l’attenzione sul peso che l’analfabetismo ha sulle vicende linguistiche e  sociali in Italia.

 

Solo pochi mesi prima di morire confessava in una intervista radiofonica lo sconforto su questi dati, la sensazione di solitudine  “Sembra che riguardino solo chi spulcia statistiche o si occupa di scuola, università, ricerca. Io confesso tutto il senso della mia impotenza”. Ricordava i dati Ocse secondo i quali di fronte a un testo scritto o parlato complesso il 70% degli italiani si trova in difficoltà e si ripiega su se stesso, nella vita privata, e non riesce a vivere la vita di una società complessa come quella italiana. “Se fossimo un paese contadino potremmo accontentarci – sosteneva -: ma non lo siamo. In molti, da Marchionne al politico, dovrebbero svegliarsi”.

 

Mi piace ricordarlo come guida della Fondazione Bellonci,  direttore dal 2007 e presidente dal 2013.  Le uniche vere riforme al premio Strega, per aumentarne credibilità e carisma, portano il suo garbo e la sua firma.

 

«Leggere, potere leggere, avere il gusto di leggere - come egli scrisse qualche tempo fa - è un privilegio. È un privilegio della nostra intelligenza che trova nei libri l'elemento primo della informazione e gli stimoli al confronto, alla critica, allo sviluppo; un privilegio della fantasia che attraverso le parole scritte nei secoli si apre il varco verso l'espressione fantastica dell'immaginario, del mareggiare delle altre possibilità, tra le quali si è costruita l'esperienza reale degli esseri umani. È un privilegio della nostra vita pratica, perfino economica; chi ha il gusto di leggere non è mai solo, con spesa assai modesta può intessere i più affascinanti colloqui ed assistere agli spettacoli più fastosi»

 

Non intitoliamo questa biblioteca a Tullio De Mauro per rendere omaggio ad uno studioso, raccogliere i suoi libri e non pensarci più. Lo facciamo perché considero preziosi quegli schiaffi e voglio fare di tutto perché continuino a risuonare. Perché ci aiutino a rendere ogni giorno un pochino migliore il nostro impegno.