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Ri-vediamoli

Ri-vediamoli

Rubrica on-line

Rubrica mensile "Ri-vediamoli", per ri-scoprire insieme film che ancora, nonostante il tempo trascorso dalla loro uscita nelle sale cinematografiche, suscitano emozioni, dubbi e desiderio di parlarne.
 
📍 Il film che vi proponiamo prima di congedarci per le vacanze è “L’Angelo sterminatore” di Luis Buñuel (1962).
Tratto da un soggetto teatrale scritto da José Bergamin, intitolato Los naufragos, e sceneggiato dallo stesso Buñuel e da Luis Arcoriza, è uno dei film più belli diretti dal grande maestro spagnolo.
 
Siamo evidentemente di fronte ad una satira contro il mondo borghese e le sue convenzioni, ma viene da pensare che il regista in realtà faccia riferimento all’intero genere umano.
Buñuel, surrealista di nascita e ateo convinto, trae spunto dall’Apocalisse dell’apostolo Giovanni. Come era suo costume, ha sempre negato il riferimento alla sacra scrittura, eppure alcuni dettagli ci sembrano evidenti: le tre porte del salone che presentano soggetti sacri, la bestia che si aggira ruggendo come una fiera, le pecore come soggetti sacrificali.
L’angelo che punirà l’umanità, l’angelo che punirà la classe borghese rinchiusa nella sua agiatezza, impossibilitata a comprendere e soprattutto ad agire. Il regista dissacratore e surrealista irrompe con un susseguirsi di non dialoghi, con il ripetersi delle battute e con immagini inquietanti. Una mano che nell’ombra si avvicina, un oggetto scagliato contro un vetro e animali, delle pecore e un orso, che si inoltrano nella casa.
La pellicola ci comunica una febbre claustrofobica, un crescendo di angoscia. Contemporaneamente però ci inchioda allo schermo, perché sentiamo che le domande senza risposte scaturite dal film fanno parte della nostra vita, del nostro limite umano.
 
➡️ Da segnalare la bellissima fotografia in bianco e nero di Gabriel Figueroa, che è riuscito a riprendere i personaggi quasi costantemente sotto una luce soffusa.
➡️ Premio Fipresci a Cannes, Giano d'oro al Festival Latinoamericano di Sestri Levante, premio A. Bazin al Festival di Acapulco.
 
🎬 Dopo la visione della Lucia di Lammermoor a teatro, una comitiva dell'alta borghesia viene invitata a cena in una villa di amici. Sebbene siano diverse le professioni esercitate dai vari personaggi (medico, direttore d'orchestra, soprano, architetto, generale, ecc.), ad accomunarli vi sono comunque la condizione sociale elevata, le buone maniere e il lusso.
Tutto è organizzato per il meglio ma stranamente la servitù, con vari pretesti, si allontana lasciando la compagnia con il solo maggiordomo, che scopriremo ormai integrato con i signori, i quali senza rendersene conto si ritrovano ancora nel soggiorno alle quattro del mattino tra chiacchiere e sbadigli.
Nessuno va via. Resteranno lì in quello spazio tutta la notte. Il mattino seguente il maggiordomo non riesce a prendere dei cucchiaini nella sala pranzo. Il soggiorno diventa il loro unico spazio, dal quale non sanno uscire. La formalità e la buona educazione borghese con il tempo svaniscono e lasciano il posto alla rabbia, alle accuse infondate all’anfitrione di casa ritenuto il responsabile di tutto e al cinismo proprio della classe agiata. Intanto, fuori dalla villa anche le autorità sono incapaci di agire e stazionano per strada. La fame e la sete prendono il sopravvento. La compagnia riuscirà a rompere un tubo e a dissetarsi. Alcune pecore riusciranno ad entrare e diventeranno in breve cibo su cui avventarsi. Quando la situazione sta per andare ormai fuori controllo, una donna, una vergine immacolata (probabile riferimento alla Vergine Maria), riesce con un incantesimo tutto surrealista a ricomporre la situazione della prima serata e tutti riescono ad uscire.
Come ringraziamento viene celebrato il Te Deum presso la cattedrale, ma l‘Apocalisse è dietro l’angolo e nessuno si potrà salvare.
 
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