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Mar de La Plata - BILLonline
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Claudio Fava, Mar del Plata, Add editore, 2013
TRAMA
Il protagonista del libro è Raul, il capitano di una delle squadre più forti di rugby dell’Argentina: il Mar del Plata. La vicenda è ambientata nel 1978 nei pressi di Buenos Aires e si apre con la misteriosa scomparsa di Javier, chiamato il “Mono”, uno studente universitario membro della squadra in questione. Dopo alcuni giorni viene rinvenuto il corpo del giovane nelle acque del Rio de la Plata, con le mani legate da fil di ferro e una pallottola in testa. La domenica successiva, prima dell’inizio della partita, i suoi compagni decidono di osservare un minuto di silenzio per commemorare il ragazzo barbaramente ucciso. Spontaneamente però, tutti i ragazzi protraggono questo momento di raccoglimento ben oltre il minuto previsto, mantenendo il silenzio assoluto per ben dieci minuti. Questo gesto, interpretato come un’aperta sfida al regime militare di Jorge Rafael Videla e dei suoi spietati generali Benavides e Montonero, allora in carica, provocherà una lunga serie di misfatti. I giocatori, uno dopo l’altro, scompariranno o verranno uccisi, mentre i superstiti continueranno a riunirsi in campo ogni domenica per la partita, indossando in segno di lutto un calzino nero legato al braccio ed osservando il consueto, lungo silenzio. L’unico sopravvissuto a questi massacri è Raul Barandiaran, che a distanza di molti anni troverà il coraggio di parlarne al giornalista Gustavo Veiga. A partire da questa testimonianza l’autore del libro ha costruito il suo romanzo.
BRANI SIGNIFICATIVI
Dal seguente brano si comprende il forte spirito di squadra che univa i ragazzi e la dedizione con cui l’allenatore li preparava ad affrontare non solo le partite, ma soprattutto la vita:
“I suoi giocatori li aveva presi che erano ancora ragazzini e gli aveva insegnato il rugby un poco per volta, come s’imboccano i picciriddi, gli aveva spiegato come tenere alti i gomiti in mezzo alla mischia e bassa la fronte per cercare il naso dell’avversario, gli aveva disegnato il campo su un pezzo di cartone mostrando a ciascuno dove non doveva andare mai, cosa non doveva aspettarsi mai perché questa palla è come una femmina sbagliata, è fatta male, non rotola mai dritta, se ne va per i cazzi suoi, se state lì ad aspettarla quella vi fa cornuti subito! E voi non siete cornuti, siete la prima squadra del Club La Plata e quest’anno vi dovete portare a casa il campionato.”
Nell' estratto sottostante si evince l’angoscia vissuta dai ragazzi ed in particolare dal protagonista, quando comprende che anche il suo mister è scomparso, ma anche la ferma volontà di resistere, manifestata nel rituale del silenzio e delle altre forme di protesta in campo:
“E accadde, senza che quei ragazzi se lo fossero detti nello spogliatoio mentre infilavano le maglie addosso ai tre picciriddi del vivaio mandati a combattere in prima squadra. Accadde, dopo che Raul guardò la propria panchina per cercare conforto ma tanto sapeva che la panchina era vuota perché il mister se n’era andato, nessuno l’aveva più visto dopo quel pomeriggio in cui avevano mescolato le loro vite nel secchio delle birre e avevano scelto tutti di restare nel loro Paese a costo di creparci. […] Accadde di nuovo. Quel minuto si dilatò, un tempo straripato, un’attesa ostinata finché il silenzio divenne un’altra cosa, un palpito di vite che cresceva fino a farsi rumore di scarpe pestate per terra. Era stato Santiago, l’indio Santiago. Aveva cominciato a sbattere le scarpe sull’erba secca del campo come se stesse marciando, i suoi compagni lo avevano imitato e allora anche il pubblico in tribuna s’era alzato, tutti in piedi a percuotere le tavole di legno in un trambusto lento e pesante, diecimila persone che marciavano immobili, sfacciate, un gesto di sfida che aveva trasformato quel silenzio in una musica, ogni passo un pensiero proibito, ogni tonfo del piede un ultimo saluto all’Argentina che ormai scannava i propri figli in mezzo alle strade, che masticava la carne della propria carne, che giocava alla morte e alla vita nel nome ridicolo della patria.”
RECENSIONI
Milena Privitera, scrittrice: “È un romanzo simbolo di come in ogni tempo, in ogni luogo, ci siano ragazzi pronti a combattere le ingiustizie, i soprusi, è un racconto emozionante, una vicenda triste che come spiega Claudio Fava - si fa epica e sguaiata al tempo stesso, per la grande ferocia che quel regime seppe mostrare, e la grande, disperata dignità che seppe opporgli un popolo intero - .”
Peter Freeman, giornalista e scrittore: “La storia di una squadra di rugby sterminata dalla dittatura argentina. Claudio Fava ne ha scritto un romanzo: non è un libro di rugby, è la “Storia” che attraversa il mondo ovale.”
Concita De Gregorio, giornalista e scrittrice: “La storia dice che a tutte le latitudini e in ogni tempo ci sono ragazzi pronti a sfidare un destino già scritto, a Buenos Aires come a Catania… È certo che una squadra intera di rugby annientata dal livore e dal capriccio dei militari è una storia gigantesca memorabile.”
Armando Spataro, voce autorevole del mondo dei giuristi: “Mar del Plata è una città argentina situata sulla costa dell’Oceano Atlantico, con quasi un milione di abitanti. Claudio Fava, scrittore, giornalista, sceneggiatore e politico coerente, vi ambienta una storia vera di rugby e desaparecidos nell’Argentina di Videla. […] Non erano combattenti quei ragazzi, c’era chi studiava, chi lavorava e per tutti il rugby era l’isola felice. Fino alla uccisione di Javier, che non li fermò e anzi ne scosse le anime: quei ragazzi non si girarono dall’altra parte e per ogni compagno ucciso continuarono a sfidare il regime con lunghi minuti di silenzio fino all’ultimo match del campionato. E più duravano quei minuti, più la folla ne capiva il senso. E gli avversari pure, scaraventando la palla ovale in tribuna, come fosse uno sputo, contro i militari attoniti. Quanto accadeva in Argentina – scrive Fava nella postfazione – non era troppo diverso dalle mattanze mafiose in Italia: - Si moriva in Argentina come in Sicilia perché una banda di carogne regolava in questo modo i propri conti con i dissidenti - . Ma la dignità che quel popolo oppresso seppe opporre alle “carogne” di regime la puoi scoprire a tutte le latitudini e in ogni tempo, perché ragazzi pronti a sfidare un destino già scritto li puoi trovare a Buenos Aires, come a Catania. Ecco perché questo libro, più che i fatti, narra - i pensieri e i gesti di quei ragazzi che scelsero di restare e di morire -. Perché alla fine poco importa se quei ragazzi fossero argentini o siciliani. - Importa come vissero. E come seppero dire no – a quei - chiancheri – in divisa, passando la palla indietro per andare avanti tutti insieme.”
TRASPOSIZIONI TEATRALI
Paolo Ligammari, voce del Corriere della Sera, in un articolo del 2 novembre 2015 commenta la storia raccontata nel libro e poi riproposta dallo stesso autore in uno spettacolo teatrale andato in scena al Piccolo Eliseo dal 4 al 22 novembre dello stesso anno:
“L’Argentina del 1978 non era solo la terra di Mario Kempes e dei Mondiali di calcio. Era anche il Paese della dittatura dei generali e di Jorge Videla. E dei desaparecidos. Era anche la terra del Rugby La Plata, un campionato nazionale vinto nel Seven (disciplina olimpica dal prossimo anno) e di 17 giocatori uccisi dal regime senza nessuna pietà, 17 ragazzi innamorati della libertà più della loro stessa vita. Dalle storie dei trentamila argentini scomparsi, eliminati, vaporizzati dalle orde sanguinarie di Videla, gettati nel vuoto dai - voli della morte -, non si seppe nulla per molti anni. Troppo forte la consegna del silenzio, troppo debole (o silenziata con brutale disumanità) la voce di chi si opponeva. La storia (vera) del Rugby Club La Plata, invece, è venuta fuori grazie alle parole dell’unico sopravvissuto, Raul Barandiaran. Il sopravvissuto e lo scrittore, perché le parole dell’architetto, argentino di La Plata, una delle città più colpite dalla dittatura dei militari, sono diventate un racconto (Mar del Plata), appassionato e struggente, dello sceneggiatore dei – Cento Passi -, Claudio Fava, un padre ucciso dalla mafia e tanta dimestichezza con l’orrore e l’insopportabile peso dei silenzi. E ora sono uno spettacolo teatrale, che dal 4 al 22 novembre andrà in scena al Piccolo Eliseo, a Roma. Raul racconta al mondo perché i suoi 17 compagni di squadra non ci sono più. Racconta perché essere militanti del variopinto mondo della sinistra argentina, in quegli anni, era un peccato mortale. E racconta come, mentre Kempes segnava gol a grappoli e vinceva i Mondiali, il mediano di apertura Otilio Pascua veniva ritrovato nel fiume con le mani legate dietro alla schiena e un foro di proiettile in testa. Aveva appena compiuto 17 anni. L’unica colpa di quel ragazzo, capelli al vento e gambe forti come alberi, era di aver simpatizzato per il movimento studentesco, di non aver taciuto, di aver fatto sentire la propria voce, in un mondo dove anche i silenzi parlano. È una storia di morte, ma anche di rinascita. Senza mai lasciare il campo da rugby, - perché mica potranno ucciderci tutti-, si raccontavano i compagni tra di loro, per farsi coraggio tra le macerie dell’umanità. Così, dopo il ritrovamento dell’amico ucciso, il La Plata si ritrova in campo. Per giocare e per vincere. Ma soprattutto per ricordare il compagno che non c’è più. Il minuto di silenzio prima della partita è interminabile: l’arbitro fischia l’inizio dell’incontro, ma i ragazzi rimangono immobili, fieri e uniti per altri nove minuti. Quei dieci minuti di silenzio cambieranno per sempre le loro vite. L’ultima partita la giocheranno in uno stadio gremito, che grida - viva la libertà - in faccia ai colonnelli. Li uccideranno tutti, tranne uno, senza riuscire a spegnerne il ricordo, l’esempio, il coraggio.”
20/08/2021 Pao.Tin.