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martedì

6

ottobre

Invito all’autore: Agota Kristof

Invito all’autore: Agota Kristof

6 ottobre 2020

Tra le righe … vita e opere

«Hai già scordato tutto? Anche tu hai fatto la stessa cosa, esattamente la stessa cosa. E il bambino che avevi tu era ancora quasi un neonato». Con queste parole in testa – pensando alla morte di un bambino turco mentre attraversava il confine svizzero insieme ai suoi genitori, - L’analfabeta Agota Kristof inizia a ricordare il proprio trasferimento clandestino, nel ’56, dall’Ungheria alla Svizzera attraverso l’Austria. Finirà a lavorare in una fabbrica di orologi proprio come quella in cui Ieri, Line e Tobias, ingranaggi di un marchingegno infernale («correre verso il proprio macchinario, metterlo in moto, fare il buco più rapidamente possibile, un altro buco, un altro, sempre lo stesso buco nello stesso pezzo, diecimila volte al giorno»), si sono incontrati. Agota Kristof, che ha lasciato il suo «diario dalla scrittura segreta» in Ungheria, riprende a scrivere poesie, del resto « la fabbrica va benissimo, si può pensare ad altro, e le macchine hanno un ritmo regolare che scandisce i versi». Appuntiti come Chiodi, i suoi versi, ci parlano di solitudine e abbandono («mi hai fatto un cenno da un finestrino il treno non si è fermato»), del nostro rapporto con la natura («le città lentamente strangolano i loro gracili giardini»), di profughi che non ce l’hanno fatta («Avevo un amico si è ucciso due anni fa»), temi ripresi anche nelle sue pièce teatrali (Il mostro e le altre storie, La chiave dell’ascensore, L’ora grigia). Scrittura essenziale, quella di Agota Kristof, il cui intento, sfidando la menzogna, è «descrivere ciò che vediamo, ciò che sentiamo, ciò che facciamo», come fa dire ai due gemelli della Trilogia della città di K., alter ego dell’autrice e del fratello che trascorsero la loro infanzia in guerra: «Scriveremo: “Noi mangiamo molte noci”, e non: “Amiamo le noci”, perché il verbo amare non è un verbo sicuro, manca di precisione e di obiettività».

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