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30 giugno - 13 luglio 2021

Rubrica di curiosità

Care biblionaute e cari biblionauti, avete mai sentito parlare delle “Biblioteche Umane”? La “Biblioteca Umana” o “Biblioteca Vivente”, dall'inglese Human Library, è una nuova modalità di intermediazione relazionale che negli ultimi anni si sta diffondendo nel mondo delle biblioteche e non solo. Questa innovativa esperienza trae origine da un'idea elaborata nel 2000 dall'ONG danese “Stop The Violence Movement”, fondata da un gruppo di giovani in seguito alla perdita di un loro amico ucciso per motivi raziali nel 1993.

Ogni volta che generiamo un cambiamento nella nostra esistenza ciò accade perché proviamo un’emozione: sono le emozioni che ci scuotono e che ci costringono a porci delle domande. Probabilmente è da questa intuizione che Ronni Abergel e suo fratello Dany sono partiti quando, insieme ad altri attivisti dell'associazione danese, hanno dato vita al primo evento della Human Library Organisation nell'ambito del Roskilde Festival, uno dei più popolari festival musicali europei. «Come possiamo comprenderci, se non abbiamo l’opportunità di parlarci?». Un quesito semplice quello posto da Ronni Abergel. E allora lui questa opportunità l’ha creata e ha scelto di calcare la metafora della Biblioteca, dandole una connotazione assolutamente innovativa: rendendola vivente.

La Biblioteca Umana è una biblioteca speciale dove è possibile “prendere in prestito” una persona per ascoltare la storia della sua vita. La terminologia è la stessa a cui siamo abituati da sempre: i libri sono le persone narranti, il prestito si traduce nell’incontro e nell'ascolto, il lettore è l’ascoltatore, il catalogo è costituito da un abstract e da un titolo che sintetizza l’argomento della storia e il mediatore tra catalogo e lettori è il bibliotecario. A differenza della consueta Biblioteca, nella Human Library ciascuna di queste parti respira. Nella Biblioteca Vivente il libro è una persona disposta a “far girare le pagine della propria vita” e a condividerla rispondendo alle domande dell'ascoltatore.

Ad ogni persona i bibliotecari assegnano un “titolo” breve e molto diretto, che il più delle volte rispecchia l’etichetta che la società gli ha affibbiato: “gay”, “transessuale donna”, “transessuale uomo”, “persona affetta da disordini alimentari”, “disabile”, “disoccupata”, “rifugiato”. Il “titolo” di ogni libro è pensato come una provocazione, tesa a suscitare una reazione. Il risultato che si vuole ottenere è che il “lettore”, alla fine della conversazione, consideri l’etichetta irrilevante. “Non giudicate un libro dalla sua copertina” è il motto della Biblioteca Umana.

I libri viventi sono persone consapevoli di appartenere a minoranze soggette a stereotipi e pregiudizi. Desiderosi di scardinarli, essi si rendono disponibili a discutere le proprie esperienze e i propri valori con altri. Ascoltare la storia della vita di una persona che non conosciamo, così come facciamo ogni volta che leggiamo un libro, ci insegna a sospendere il giudizio, a stabilire un contatto con il dolore nostro e dell’altro, ad accrescere la nostra conoscenza circa realtà che quotidianamente subiscono atteggiamenti di discriminazione ed esclusione.

La prima Biblioteca Umana permanente è stata istituita a Lismore, in Australia, nel 2006. In Italia vi sono state nel corso di questi ultimi anni diverse iniziative legate all’idea danese, e chi fosse interessato può visitare il sito dell’associazione ABCittà. L'associazione oltre a dare informazioni sulle numerose esperienze già organizzate,  offre anche un valido sostegno a chi vuole creare una Biblioteca Umana.

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