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BILLonline - Nel mare ci sono i coccodrilli
Il Maggio dei Libri
TRAMA
Enaiatollah Akbari, un bambino realmente vissuto, è il protagonista di questo romanzo. La mamma lo lascia a Quetta, una città del Pakistan, senza neanche salutarlo. Una sera gli fa promettere che nella sua vita non avrebbe mai rubato, non si sarebbe drogato e non avrebbe utilizzato armi. Il mattino successivo il ragazzo, al risveglio, non trova più la mamma. Dopo molte vicissitudini, in cerca di un lavoro e di un modo per sopravvivere, Eniatollah incontra un gruppo di ragazzi che si trovano nelle sue stesse difficoltà e che hanno intenzione di andare in Iran, nella speranza di sistemarsi. Decide allora di unirsi a loro ed in particolare a Sufi, con cui il protagonista instaura una profonda amicizia. In Iran la situazione non è rosea, ma i bambini riescono a lavorare come muratori e quindi a guadagnarsi il necessario per vivere. Dopo un po' di tempo Enaiatollah conosce altre persone che gli propongono di andare in Turchia. Il ragazzo accetta, mentre il suo amico Sufi decide di restare in Iran, per cui si separano, nella speranza di potersi un giorno ritrovare. Il viaggio per la Turchia è una vera odissea: i ragazzi sono costretti a nascondersi per tre giorni nel cassone di un camion per non essere intercettati dalla polizia. Arrivati in Turchia, non possono far altro che vivere sotto i ponti. Disperati, si rimettono in viaggio di notte su un gommone fornito loro da un trafficante di persone. Durante la traversata il protagonista riconosce un suo vecchio amico di Quetta, che gli consiglia di rifugiarsi insieme a lui in un parco di Atene, vicino ad una chiesa. Dopo una breve permanenza ad Atene, Enaiatollah parte per Corinto e poi da lì riesce a imbarcarsi per Venezia. Da qui si sposta a Roma, in cerca di un suo amico, che poi scopre abitare a Torino, per cui lo raggiunge. A Torino finalmente trova una sistemazione in casa di conoscenti del suo amico e inizia a studiare. Il racconto termina con un'ottima notizia: il ragazzo riesce a contattare e rassicurare la mamma.
INCIPIT E BRANI SIGNIFICATIVI
Nell'incipit il protagonista racconta il traumatico distacco da sua madre, avvenuto inaspettatamente quando lui aveva dieci anni:
“Il fatto, ecco, il fatto è che non me l'aspettavo che lei andasse via davvero. Non è che a dieci anni, addormentandoti la sera, una sera come tante, né più oscura, né più stellata, né più silenziosa o puzzolente di altre, con i canti dei muezzin, gli stessi di sempre, gli stessi ovunque a chiamare la preghiera dalla punta dei minareti, non è che a dieci anni - e dico dieci tanto per dire, perché non è che so con certezza quando sono nato, non c'è anagrafe o altro nella provincia di Ghazni - dicevo, non è che a dieci anni, anche se tua madre, prima di addormentarti, ti ha preso la testa e se l'è stretta al petto per un tempo lungo, più lungo del solito, e ha detto: Tre cose non devi mai fare nella vita, Enaiat jan, per nessun motivo. La prima è usare le droghe. Ce ne sono che hanno un odore e un sapore buono e ti sussurrano alle orecchie che sapranno farti stare meglio di come tu potrai mai stare senza di loro. Non credergli. Promettimi che non lo farai. Promesso. La seconda è usare le armi. Anche se qualcuno farà del male alla tua memoria, ai tuoi ricordi o ai tuoi affetti, insultando Dio, la terra, gli uomini, promettimi che la tua mano non si stringerà mai attorno a una pistola, a un coltello, a una pietra e neppure intorno a un mestolo di legno per il qhorma palaw, se quel mestolo di legno serve a ferire un uomo. Promettilo. Promesso. La terza è rubare. Ciò che è tuo ti appartiene, ciò che non è tuo no. I soldi che ti servono li guadagnerai lavorando, anche se il lavoro sarà faticoso. E non trufferai mai nessuno, Enaiat jan, vero? Sarai ospitale e tollerante con tutti. Promettimi che lo farai. Promesso.”
Nel seguente estratto Enaiatollah racconta la morte di suo padre e i motivi per cui lui e la mamma erano stati costretti a fuggire dall'Afghanistan:
“Avevo sei anni - forse - quando mio padre è morto. Sembra che, sulle montagne, un gruppo di banditi abbiano assalito il suo camion e l'abbiano ucciso. Quando i pashtun hanno saputo che il camion di mio padre era stato assalito e la merce rubata, sono venuti dalla mia famiglia e hanno detto che lui aveva fatto un danno, che la loro merce era andata dispersa e che noi, ora, dovevamo ripagare quella merce. Per prima cosa sono andati da mio zio, il fratello di mio padre. Gli hanno detto che ora il responsabile era lui e che doveva fare qualcosa per risarcirli. Mio zio per diverso tempo ha cercato di sistemare le cose, tipo dividere i campi, o venderli, ma senza riuscirci. Poi un giorno ha detto che lui non sapeva come fare per risarcirli e che comunque non era affare suo, perché lui aveva la sua famiglia cui pensare, cosa che peraltro era vera e perciò non posso dargli torto. Così i pashtun sono venuti da mia madre, una sera, e hanno detto che se noi non avevamo soldi, al posto dei soldi avrebbero preso me e mio fratello, per farci andare con loro e usarci come schiavi, che è una cosa che in tutto il mondo è vietata, e anche in Afghanistan, ma alla fine la situazione era quella. Mia madre da allora ha vissuto con la paura addosso. Ha detto a me e a mio fratello di stare sempre fuori casa, in mezzo agli altri bambini, perché la sera che i pashtun erano stati a casa nostra noi non c'eravamo e non ci avevano visto in faccia. Quindi, noi due, stavamo sempre fuori a giocare, che non era poi un gran problema, e i pashtun che incrociavamo per le strade del paese ci passavano accanto senza riconoscerci. Abbiamo anche scavato una buca per la notte vicino alle patate, e quando qualcuno bussava, prima ancora di andare a chiedere chi era, noi andavamo a nasconderci lì. Ma di questa strategia io non ero molto convinto: ho sempre detto a mamma che se i pashtun fossero venuti a prenderci, di notte, non avrebbero certo bussato. Le cose sono andate avanti così fino al giorno in cui mamma ha deciso di farmi andare via perché avevo dieci anni - forse - e stavo diventando troppo grande da nascondere, tanto che nella buca quasi non ci entravo più e rischiavo di schiacciare mio fratello.”
Nel brano seguente il protagonista racconta la sua permanenza in Iran, in casa dei suoi trafficanti. In particolare ricorda dei giorni in cui aveva la febbre molto alta ma, essendo clandestino, non poteva essere accompagnato in ospedale né da un medico:
“Per una settimana ho mangiato solo angurie. Avevo sete, tanta sete. Avrei bevuto in continuazione per spegnere l'incendio che il male mi aveva appiccato in gola. Prendi questa. Cos'è? Apri la bocca. Ecco. Ora bevi e ingoia. Cos'è? Stai giù. Riposati. Rahat bash. I trafficanti, be', loro non potevano portarmi all'ospedale o da un dottore, è chiaro. È il più grande problema di essere clandestini, questo: sei illegale anche nella salute. Mi hanno dato dei medicinali che conoscevano loro, che avevano in casa, piccole pastiglie bianche, da ingoiare con l'acqua. Non so che roba fosse - non potevo fare domande nella mia tripla condizione di malato, debitore e afghano - in ogni caso alla fine sono guarito, e tant'è. Dopo una settimana mi sono sentito meglio. Il nostro trafficante privato una mattina ha detto a me e a Sufi di prendere la nostra roba - cosa che mi ha fatto ridere, perché non avevamo niente da prendere - e di seguirlo. Siamo andati alla stazione di Kerman. Era la prima volta che camminavo per le strade iraniane di giorno e cominciavo a pensare che il mondo fosse molto meno vario e misterioso di quanto avessi immaginato vivendo a Nava.”
RECENSIONI
TRASPOSIZIONI E FILMATI
Fabio Geda racconta Nel mare ci sono i coccodrilli
Il video di approfondimento realizzato dal docente Luigi Gaudio
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05/10/2020 Pao. Tin.